di Antonello Nave
Nell’atrio del liceo classico “Galileo” di Firenze c’è una lapide in onore del trentino Alberto de Eccher Dall’Eco, inaugurata nel febbraio del 1926 per rendere omaggio all’illustre professore dell’istituto nel primo anniversario dalla morte.
Eccher era nato da nobile famiglia di possidenti il 5 marzo 1842 a Mezzolombardo, piccolo centro della pianura rotaliana. Aveva studiato con impegno prima a Trento, poi nelle facoltà scientifiche di Innsbruck e Vienna. Nel 1864 si era laureato in chimica a Berlino e aveva continuato il perfezionamento al fianco del chimico-fisico Heinrich Magnus.
L’appassionato irredentismo del giovane Alberto, custodito fino ad allora nel silenzio dei suoi studi, ebbe modo di tradursi in azione nel giugno del ‘66, quando giunse notizia che il Corpo dei Volontari Italiani guidato da Garibaldi aveva passato il confine del Caffaro. Era l’inizio della terza guerra d’indipendenza, combattuta da Italia e Prussia contro l’Austria. Alberto non ci pensò due volte: lasciò il suo professore e un promettente futuro accademico, attraversò la Svizzera e arrivò a Milano, dove il 28 giugno 1866 si arruolò nei volontari con la camicia rossa (e i pantaloni blu sabaudi). Fu assegnato alla 7a compagnia del 9° Reggimento, che era comandato da Menotti Garibaldi.
Il ventiquattrenne mingherlino e ardimentoso partecipò al duro e vittorioso scontro di Monte Suello il 3 luglio, poi a Ponte Caffaro e il 16 luglio a Condino. Cinque giorni più tardi prese parte alla decisiva battaglia di Bezzecca come aiutante del capitano Meneghelli, presso la sezione di artiglieria del maggiore Orazio Dogliotti, l’ufficiale regio e “garibaldino convertito” che pienamente assolse all’incarico affidatogli dal Generale di spezzare con i cannoneggiamenti l’assalto delle truppe austriache.
Poi, com’è noto, l’avanzata garibaldina fu bruscamente e perentoriamente interrotta per le trattative di armistizio in corso. Al celebre telegramma con cui il 9 agosto Garibaldi dichiarava obbedienza agli ordini di La Marmora seguì per le camicie rosse l’amarezza della ritirata nel bel mezzo di una vigorosa avanzata in Trentino. Due giorni dopo quel telegramma, i garibaldini ripassarono il Caffaro.
Alberto venne licenziato il 26 settembre a Bergamo, con una gratificazione di 72 lire e un futuro estremamente precario. Certo non poteva tornare ai suoi studi a Berlino e nemmeno nella sua Mezzolombardo.
Con la camicia rossa a brandelli e lo sconforto per la mancata liberazione del Trentino, Alberto pensò di andare nella nuova capitale del regno e di presentarsi allo scienziato e patriota Carlo Matteucci, per cercare di avere da lui un aiuto. Dopo una breve esperienza come ministro della pubblica istruzione, l’illustre studioso era stato da poco nominato direttore del Museo di fisica e storia naturale di Firenze. Quando Matteucci seppe che quel giovane spiantato era un combattente di Bezzecca e che aveva solidi studi alle spalle, si adoperò per dare al patriota trentino una idonea sistemazione lavorativa. L’occasione propizia si offrì presto: il 16 novembre Eccher fu nominato aiuto di Luigi Magrini alla cattedra di fisica nella sezione di scienze fisiche e naturali dell’Istituto di Studi superiori, in sostituzione di Tito Martini, che era appena stato destinato al liceo di Palermo.
Alla morte nel 1868 sia di Magrini che dello stesso Matteucci, il ministero non provvide alla scelta di un nuovo titolare della cattedra di fisica, negli anni della durissima politica di contenimento delle spese da parte della Destra al governo. Ad Eccher fu confermata la nomina ministeriale ad aiuto della cattedra vacante e la direzione del gabinetto di fisica. Per sopperire alla mancanza del titolare, Alberto accettò di svolgere anche le funzioni di docente del corso di fisica.
In quei suoi primi anni fiorentini, il reduce garibaldino svolse anche attività di ricerca, di cui diede conto soprattutto nel «Nuovo Cimento», l’autorevole rivista fondata da Matteucci e caratterizzata dalla propensione positivistica per le scienze sperimentali.
Alberto de Eccher ebbe modo di farsi apprezzare, fra gli altri, dal sindaco Ubaldino Peruzzi. Poté così frequentare il “salotto rosso” nel palazzo in Borgo de’ Greci, dove Peruzzi e la moglie Emilia Toscanelli ricevevano con assiduità personalità molteplici della vita intellettuale sia cittadina che nazionale.
Gli impegni didattici lo costrinsero a ridurre l’attività di ricerca, che si concentrò nel ‘75 su quanto aveva iniziato a indagare nel laboratorio berlinese di Magnus a proposito delle forze elettromotrici in soluzione salina. Eccher diede alle stampe due nuovi studi in vista dei concorsi che si consideravano imminenti. Con la Sinistra al governo, infatti, nel ‘78 alla Minerva era tornato in carica Francesco De Sanctis, intenzionato a bandire concorsi per le cattedre universitarie vacanti.
Nei primi mesi del 1879 toccò alle due cattedre di fisica: una a Sassari e l’altra proprio nell’Istituto di Studi superiori di Firenze. Eccher prese parte a entrambi i concorsi. A Firenze la vittoria andò a Emilio Villari, che tuttavia preferì conservare il suo ruolo accademico a Bologna, così che la titolarità passò un anno più tardi ad Antonio Roiti (anche lui reduce garibaldino del ‘66).
Alberto riuscì, invece, vincitore di cattedra a Sassari, in quella che era considerata all’epoca la meno ambita delle sedi universitarie. Perplesso sul trasferimento in Sardegna, dopo due anni di aspettativa Eccher decise di dimettersi. Evidentemente non se la sentì di lasciare Firenze, le sue ricerche e il posto di aiuto. Tuttavia il motivo principale che lo indusse a rinunciare al ruolo accademico è da ravvisare nella nuova impresa in cui si era avventurato: da un paio d’anni aveva affiancato ai suoi impegni un’attività produttiva e commerciale, strettamente legata all’ambito scientifico-sperimentale. Il garibaldino irredentista aveva scelto di italianizzare il suo cognome e di fondare a Firenze la “Ditta Alberto Dall’Eco”, impegnata nella produzione, importazione e vendita di macchinari, materiali didattici e strumenti per laboratori, gabinetti scientifici e istituti scolastici.
Nel dicembre 1883 terminò l’incarico come aiuto di Roiti all’Istituto. Il ministero guidato da Coppino offrì a Eccher la titolarità della cattedra di fisica e chimica al “Galileo” di Firenze, dove il governo aveva appena istituito il secondo liceo cittadino. Il 1° ottobre 1884 il quarantaduenne reduce garibaldino prese servizio nella scuola in cui sarebbe rimasto per il resto della sua attività di docente, fino alla guerra mondiale.
Nel 1885 partecipò per l’ultima volta a un concorso universitario, stavolta per il ruolo di ordinario di fisica a Modena. Tra i quindici concorrenti, anche il suo collega del “Dante”, Carlo Marangoni. Eccher arrivò quinto, sui sei dichiarati meritevoli. La commissione esaminatrice, nella quale figurava anche Emilio Villari, ebbe parole di apprezzamento per il rigore e l’esperienza con cui sapeva condurre attività in laboratorio.
Nei trent’anni di servizio al “Galileo” Eccher fu stimato e temuto dai suoi studenti, soprattutto per le ardue prove scritte trimestrali.
Con l’avanzare degli anni le condizioni di salute peggiorarono, ma non si interruppero gli impegni sia come professore che come titolare della ditta Dall’Arco. Nella piccola officina-negozio di via Giotto 10 continuò con notevole profitto la produzione e la commercializzazione di materiali didattici e di strumentazione per laboratori e industrie.
Il buon andamento degli affari permise a Eccher di dare concreto sostegno finanziario all’impresa che gli stava più a cuore fra tutte: la causa irredentista. Per le attività di propaganda patriottica e per l’aiuto materiale agli studenti trentini in Italia, Alberto diede il suo impegno e le sue sostanze con generosità, tenacia e riserbo. Non smise idealmente la camicia rossa, nei suoi interventi di carattere politico-umanitario. Aiutò i giovani volontari garibaldini che partirono per la Grecia. Non avendo potuto seguire Garibaldi nella campagna del ‘67, rimediò idealmente con il sostegno al comitato fiorentino che riuscirà a erigere un monumento ai caduti di Mentana. Diede la sua opera in favore dei terremotati di Messina, avviando una raccolta fra trentini in favore delle popolazioni colpite, come segno concreto di fratellanza fra il nord e il sud della nazione.
Garibaldino anche nel convinto sostegno all’istituzione del “Tiro a Segno” e allo sprone dato ai giovani perché prendessero parte alle gare.
Al fianco del collega Arturo Linaker, professore di filosofia, fu tra i più attivi e convinti promotori delle iniziative della “Società Dante Alighieri”. Era visceralmente nazionalista e come molti suoi conterranei riteneva che l’italianità delle terre “irredente” fosse un fatto storicamente incontrovertibile, e che fosse necessario difenderla in tutti i modi possibili dalla presunta minaccia espansiva di slavi e germanofoni.
Nazionalista e interventista, malgrado gli acciacchi Eccher riuscì a farsi accettare come volontario allo scoppio della guerra mondiale. Aveva 73 anni quando poté indossare la divisa e i gradi di sottotenente del genio. Chi lo vide partire da Firenze lo trovò ringiovanito. Nella casa di via Giotto lasciò sola la moglie, Matilde Cortese, che condivideva i suoi ideali irredentisti traendone dei versi d’occasione, e che sarebbe morta due anni più tardi, quando Alberto era al fronte.
A guerra finita, con i gradi di capitano, il lutto al braccio e le medaglie di cui era stato insignito al fronte, Alberto Eccher fece il suo ritorno al “Galileo” e fu presentato agli studenti. Malinconicamente constatò che erano ormai tutti diplomati quelli che lo avrebbero potuto riconoscerlo.
Poco tempo dopo decise di fare ritorno nella sua terra liberata. Non smise di interessarsi alla politica e non abbandonò le sue idee nazionaliste. Non fu fascista, però. Gli ultimi anni li trascorse in povertà nella casa di famiglia a Mezzolombardo, che lasciò al Comune perché vi sorgesse un asilo infantile, mentre nel terreno di sua proprietà dispose che sorgesse la sede della “Pro Cultura”.
Nel mandare i suoi ultimi contributi agli istituti per l’infanzia, accluse i saluti per i bambini firmandosi “garibaldino e soldato”. A un anno dalla morte, avvenuta il 10 febbraio 1925, al “Galileo” fu solennemente inaugurata la lapide in suo onore, con l’epigrafe dettata dal preside Antonio Belloni: Alberto de Eccher Dall’Eco / sulle native alpi trentine / combatté nel MDCCCLXVI con Garibaldi / e corse vegliardo ardimentoso in armi / per la grande guerra liberatrice / cittadino la mente il cuore l’opera / volse con ardore al bene della Nazione / uomo di scienza e maestro / qui / molte fiorenti vite educò / al culto del vero all’amor di Patria / 1842-1925.
Il discorso ufficiale fu del collega e sodale Arturo Linaker.
A. Eccher, Per l’inaugurazione del Monumento ai Caduti di Mentana. Parole, Firenze, G. Barbera, 1902.
A. Linaker, La Patria nella mente e nel cuore di un educatore soldato, Roma, Dante Alighieri, 1926. Questa la bibliografia su Alberto Eccher: F. Ambrosi, Scrittori ed artisti trentini, II ed., Trento, Zippel, 1894 (ed. anast. Bologna, Forni, 1972), pp. 414-415; A. Pezzi, Un educatore soldato. Profilo biografico di Alberto Eccher dall’Eco celebrandosi il 25° anniversario della morte, a cura del Comune di Mezzolombardo, Bolzano, M. Mariz, 1950; G. Innocenti, Il recupero e la valorizzazione di modelli ottocenteschi per una vetrina sui protozoi, in «Museologia scientifica», n.s., II, 2, febbraio 2008, pp. 97-99; S. Bagella, La tradizione degli studi chimici, fisici e naturalistici, in A. Mattone (a cura di), Storia dell’Università di Sassari, Nuoro, Ilisso, 2010, 1, p. 273; A. La Lana-P. Rossi, I fisici italiani dal Risorgimento alla seconda guerra mondiale. D-L, Bologna, Società Italiana di Fisica, 2020, s.v. De Eccher Alberto, p. 122.