Andrea VENTURA, Luigi Vezzosi. Un antifascista toscano respinto dalla democrazia, Tagete Edizioni, Pontedera (PI) 2017, pp. 160, Euro 10,00
Già dal titolo questo libro – una biografia di un antifascista minore, se non addirittura minimo – ci propone il tema del conflitto politico/sociale che ha percorso tutto il Novecento sino all’Italia nuova: repubblicana, democratica, antifascista. Che pure non trovò il tempo, la forza, la volontà di restituire a Luigi Vezzosi i suoi diritti civili, in primis quello di voto.
Ne era stato privato, Luigi, da una giustizia e da giudici palesemente e pesantemente condizionati dalla marea montante del fascismo ormai vincitore dopo aver superato la crisi del delitto Matteotti e alle soglie del discorso “dell’aula sorda e grigia”. La colpa di Luigi? Aver partecipato ai “fatti di Empoli” del marzo 1921. Ovvero all’insurrezione della comunità empolese, una vera e propria “cittadella rossa” che reagì con durezza e punte di furore popolare all’interminabile stillicidio della violenza fascista e alle ambiguità, connivenze e complicità dello Stato rispetto a quella “brutalizzazione della politica” imposta dagli squadristi alla vita del Paese. Violenze e brutalità particolarmente sistematiche e pesanti là dove – come in Toscana, come nell’Empolese – si concentrava il contropotere popolare e proletario e là dove erano più forti e presenti le organizzazioni dei lavoratori.
Così il 1° marzo 1921 una colonna di marinai in borghese, inviati a sostituire i ferrovieri fiorentini in sciopero per protestare contro l’assassinio del sindacalista Spartaco Lavagnini, è scambiata per una spedizione squadrista; accolta a colpi d’arma da fuoco viene incalzata e assalita da una popolazione insofferente ed esacerbata. Alla fine si contano 9 morti: un sergente d’artiglieria, cinque marinai e tre carabinieri. Un’insurrezione popolare più spontanea che organizzata che si ricollega ad altri episodi del genere avvenuti nella primavera-estate di quell’anno tra Toscana e Liguria: Castiglione dei Sabbioni e San Giovanni Valdarno (Ar) il 23 marzo; Foiano della Chiana (Ar) il 17 aprile; Sarzana (La Spezia) il 17 luglio. Vicende non collegate tra loro, prive di un disegno strategico e quindi destinate alla sconfitte e a una dura repressione che coinvolse anche il nostro Luigi Vezzosi.
Nato nel 1905 – trecciaiola la madre, calzolaio il padre, mezzadro il fratello Paolo – Luigi appartiene a una famiglia proletaria del “contromondo” socialista empolese che trovava nelle Case del Popolo e nelle Camere del Lavoro i luoghi della socialità e della formazione identitaria: socialisti, anarchici e, a partire dal 1921, comunisti. Il mondo di Luigi che, sebbene minorenne, viene individuato, sulla base di testimonianze incerte e contraddittorie, come uno dei principali agitatori e assalitori e condannato a ben 28 anni di carcere.
Una aberrazione giuridica. Tant’è che la pena venne ridotta prima a 12 anni, poi a 10 con le sanzioni accessorie di 3 anni di disciplina speciale, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, la perdita dei diritti politici. Nel frattempo “Gigi” Vezzosi ha trascorso quasi cinque anni alle Murate e a Porto Longone (Elba) e quando torna a casa ad Avane, per anni lui e il fratello Paolo sono costretti a subire le pesanti “attenzioni” ora dei carabinieri ora dei fascisti. Eppure Luigi, nonostante prepotenze e vessazioni, si sforza di continuare a vivere come una persona normale: nel 1934 si sposa e nel 1936 si trasferisce a Pisa dove esercita il suo mestiere, quello di calzolaio. Casa e bottega e un profilo basso nella Pisa del ras fascista Guido Buffarini Guidi. Poi, la guerra. Il terribile bombardamento di Pisa del 31 agosto ’43 con oltre mille morti, consiglia a “Gigi” di sfollare con la famiglia’ a Calci, un piccolo comune a 10 chilometri dal capoluogo Pisa: sulle colline che separano la provincia di Lucca da quella di Pisa, per un anno, sino alla liberazione, Vezzosi partecipa alle attività, generose ma sfortunate, della formazione partigiana “Nevilio Casarosa”. Dopo la guerra è per 5 anni segretario della sezione del Pci di Calci continuando a lavorare come calzaturiere modellista: esemplare, inappuntabile, stimato dal suo datore di lavoro. Continua, però, la sua condizione di minorità giuridica: Vezzosi è escluso dal diritto di voto per una sentenza politica che risale alla metà degli anni Venti. Ingenuamente Vezzosi sperò sino al termine della sua vita che l’Italia nata dalla Resistenza procedesse a risanare il vulnus giuridico che lo riguardava. Non fu così. “Solo nel 1983” racconta Bruno Possenti dell’Anpi di Pisa “ormai vecchio e ammalato, si lasciò convincere a rivolgere domanda di grazia al presidente Sandro Pertini. La pratica s’insabbiò nella burocrazia del Ministero di Grazia e Giustizia. Finalmente, il 30 dicembre 1986, il presidente Cossiga firmò il decreto.” Luigi Vezzosi avrebbe dovuto votare per la prima volta nella sua vita all’età di 82 anni nelle elezioni politiche del 14 giugno 1987. Non ce la fece perché il 2 maggio morì.
Una storia emblematica delle zone d’ombra che hanno segnato, fin dalle sue origini, la nostra democrazia. L’ha riportata alla luce in un libro tanto appassionato quanto obbiettivo e documentato Andrea Ventura, storico e giovane direttore dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea in Provincia di Lucca: affinché resti almeno il racconto dell’uomo a cui il fascismo aveva tolto i diritti che la democrazia non fu capace di restituirgli.