di Gianfranco Paris
Anita ha vissuto a Rieti dal 26 febbraio al 13 aprile 1849 come risulta dal biglietto del passaggio sulla carrozza che la riportò a Roma (1). Penso si possa affermare, con pochi timori di smentita, che quei 46 giorni furono i più felici della vita matrimoniale di Anita e Giuseppe Garibaldi in terra europea.
Partita dall’Uruguay il 27 dicembre 1847, sbarcò a Nizza, dove abitava la suocera che l’accolse nella casa di famiglia, con i figli Menotti nato nel 1840, Teresita nata nel 1845 e Ricciotti nato nel 1847 (l’altra figlia Rosita nata nel 1843 era morta nel 1845) (2). Anita conosceva bene Giuseppe, con lui aveva condotto in Sudamerica una vita avventurosa partecipando attivamente alle campagne a favore degli indipendentisti repubblicani del Brasile dal 1836 al 1842 e dell’Uruguay dal 1842 al 1848.
Giuseppe volle tornare in Europa allo scatenarsi dei moti rivoluzionari del 1848 perché intendeva partecipare attivamente alla lotta per l’unità dell’Italia che aveva dovuto interrompere nel 1934 a seguito della condanna a morte inflittagli dal regno di Sardegna perché attivista della mazziniana “Giovine Italia”. Garibaldi arrivò a Nizza il 21 giugno del 1848, quattro mesi dopo Anita, e fu subito travolto dagli eventi. L’Italia bruciava di ardore rivoluzionario ed egli partecipò attivamente alla prima campagna d’Italia, in Lombardia, fino al triste epilogo di Custoza. Dopo la smobilitazione fece un breve soggiorno in famiglia. Ma subito ricominciò un turbinio di eventi certamente incompatibile con la vita familiare di una giovane coppia di sposi con tre figli in tenera età di cui occuparsi.
Anita era abituata alla vita avventurosa del marito. Lo aveva conosciuto ed amato appunto perché rivoluzionario, lo aveva seguito in Sudamerica durante le campagne di guerra anche quando erano nati i figli. In Europa non poteva accettare il ruolo di tranquilla madre di famiglia che accudiva alla prole a casa della suocera in attesa del marito che rischiava la vita tutti i giorni sui campi di battaglia.
Dopo Custoza Giuseppe decise di recarsi a Firenze per rianimare la guerra nel centro Italia. A novembre del 1848, mentre sostava a Livorno, ricevette la visita di Anita.(3) Questa volta il Generale ebbe la meglio e riuscì a convincerla a ritornare a Nizza, anche perché l’assassinio di Pellegrino Rossi, avvenuto 15 novembre, aveva fatto precipitare gli eventi, Pio IX era fuggito a Gaeta e bisognava organizzarsi per aiutare i rivoluzionari romani. Proclamata la decadenza del Papato e la nascita di uno stato repubblicano, urgeva ricostituire il corpo volontario dei Legionari che avevano già operato nell’Italia settentrionale. Acquartieratosi a Macerata per raggiungere tale obiettivo, Garibaldi venne eletto deputato alla Costituente della Repubblica e iniziò l’arruolamento. Dopo aver scelto Rieti come sede strategica per il completamento della Prima Legione Italiana, si mise in marcia per raggiungere la città capoluogo della Sabina. Giunto attraverso le Marche ai confini con il Regno delle due Sicilie, sul fiume Tronto, si separò dalla Legione che si recava a Rieti passando per Terni, e si avventurò ad ispezionare i confini della Repubblica con il Regno borbonico al fine di verificare lo stato dei luoghi in vista di una possibile invasione.(4) Giunse così a Rieti dove trovò sistemazione a Palazzo Colelli, che lascerà solo il 13 aprile quando la Repubblica chiamerà la Legione a spostarsi ai confini meridionali per fronteggiare il confine borbonico.
Anita, che dopo il breve incontro con Giuseppe a Livorno era tornata dai figli, ma saputo che il marito si era sistemato in casa Colelli, partì alla volta di Rieti per incontrare di nuovo lo sposo sperando di restare in Sabina per un periodo tranquillo,(5) dove vi giunse il 26 febbraio.(6) I Garibaldi abitarono al primo piano del palazzo, nella camera (da letto) dei marchesi Colelli, che per l’occasione si erano trasferiti al piano superiore.(7) Al piano terreno dello stesso palazzo era stata attrezzata una sartoria per la confezione delle divise da consegnare ai nuovi arruolati della Legione.(8) Arrivate da Roma le stoffe necessarie, la sartoria cominciò a funzionare a pieno ritmo. Vi lavoravano quasi tutti i sarti e le sarte della città, così Anita non tardò a rendersi utile, visto che per ora altre occupazioni non si profilavano all’orizzonte. L’arrivo di Anita consentì anche di sistemare al piano terreno del palazzo una infermeria a disposizione della Legione. (9)
Intrattenne subito un ottimo rapporto con i sarti e le sarte i quali, facendo da tramite con la popolazione, contribuirono a sfatare quell’aria di sospetto e di pericolo che girava per la città fin dal primo arrivo della Legione. Del resto non poteva che essere così. Rieti era una città papalina governata da famiglie strettamente legate al soglio di Pietro ed abitata da una popolazione affine. Nei moti del 1831 era rimasta fedele al Papa re, respingendo il tentativo di invaderla da porta d’Arci da parte dei rivoluzionari guidati dal generale Sercognani. L’arrivo della Legione aveva provocato non pochi timori. I volontari erano per la maggior parte giovani avventurosi, alcuni fuggiti da casa, in cerca di emozioni e generosi nelle loro effusioni. Girovagavano per la città rumoreggiando e scontrandosi con i clericali a tal punto che Garibaldi dovette intervenire più volte per redarguirli usando anche le prigioni della Curia vescovile delle quali aveva ottenuto l’uso.(10)
In città giravano giudizi poco rassicuranti non solo sui legionari. Anita veniva gratificata di epiteti infamanti: amante di un bandito, selvaggia senza scrupoli, violenta, corrotta, disonesta.(11) Fu proprio il suo comportamento nei riguardi del personale che lavorava nella sartoria a riportare l’immagine di lei e del Generale, dipinto dalla propaganda papalina come un orco mangia bambini, nel quadro della normalità.(12) Anita inoltre si fece tanto ben volere che presto i reatini cominciarono a chiamarla con l’affettuoso nomignolo “sor’Annita” come se fosse una di loro. E, cosa insolita per un territorio permeato da secoli di cultura clericale nel quale al battesimo venivano imposti ai figli per lo più nomi di santi, a partire dalla data della partenza della coppia dalla città cominciò a figurare nei registri dei battesimi il nome Anita accanto ai cognomi delle figlie delle famiglie sulle quali la coppia aveva lasciato un ricordo positivo.(13)
Così anche i marchesi Colelli, che inizialmente avevano, obtorto collo, subìto “l’esproprio” della propria abitazione, di fronte agli atteggiamenti del Generale e della moglie, sempre improntati alla cortesia, ben presto superarono la diffidenza e misero a disposizione dei coniugi Garibaldi una loro carrozza – in realtà mai usata – che stazionava nei locali del cortile del palazzo.(14)
Anita a Rieti si muoveva a cavallo, come era in uso, e faceva anche passeggiate scortata dal fido Aguyar. Lo fece anche in compagnia di Ugo Bassi in quei pochi giorni in cui il prete “garibaldino”, poi catturato e fucilato durante la fuga verso Venezia, rimase a Rieti prima della partenza della Legione. Il prof. Bernardino Campanelli, noto filologo reatino autore di una grammatica della fonetica del dialetto reatino, nel 1911 possedeva ancora un sottosella di Anita che Garibaldi aveva lasciato nella bottega del sellaio di suo padre Luigi.(15)
La coppia frequentò anche il caffè di Adelaide Petrelli situato nella piazza principale della città, attaccato alla chiesa di san Giovanni in Statua, oggi entrambi demoliti per far spazio al complesso delle IV Stagioni, all’epoca frequentato dalla Rieti bene, e fu ricevuta anche dalla baronessa Capelletti che conobbe i Garibaldi in casa del maggiore Bois-Gilbert dimorante nel palazzo di sua proprietà. La stessa baronessa dimostrò di aver superato i pregiudizi tanto che si spinse a raccomandare a Garibaldi l’arruolamento di un giovane disagiato per le condizioni della famiglia nel corso di una visita avvenuta il 19 marzo, nel giorno di San Giuseppe.(16)
All’epoca la città di Rieti era piena di conventi femminili retti per lo più da badesse appartenenti a famiglie della aristocrazia papalina. Proprio dirimpetto a palazzo Colelli, nel lato nord, c’era il monastero di San Benedetto, la cui badessa per non disturbare gli illustri ospiti del marchese Colelli aveva dato disposizione di non suonare le campane di notte.(17) Più volte Anita e Giuseppe si recarono a far visita alla badessa ed alla monache per rassicurarle che non disturbavano e dalle stesse furono ricevuti in piacevoli conversazioni accompagnate da dolci da esse abilmente confezionati.(18)
La presenza di Anita a Rieti fu dunque motivata non solo dal desiderio di stare con l’amato coniuge, ma anche dal desiderio di rendersi utile, come era accaduto in Brasile e in Uruguay combattendo avventurosamente insieme ai rivoluzionari. Fece una vita di relazione rispettosa delle altrui convinzioni e mai intollerante.(19) Fu a Rieti che ella godette come moglie della presenza del marito collaborando attivamente con lui nelle attività quotidiane senza altri condizionamenti per un periodo che le poteva sembrare lunghissimo dati i ritmi della precedente vita coniugale. Fu a Rieti che fu concepito il quinto figlio che non vide mai la luce per la prematura morte della giovane madre alle Mandriole.
E’ per tutto questo, per l’immagine positiva di Anita che si rintraccia nella memoria civica ancora oggi, che è stata data vita ad un Comitato civico per la raccolta di fondi per un busto bronzeo a lei dedicato, opera dello scultore reatino Luca Rampazzi, che è stato inaugurato il 23 marzo 2019 in occasione dell’anniversario del matrimonio tra Anita e Giuseppe, alla presenza della presidente dell’ANVRG Annita Garibaldi.
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(1) Biglietto di viaggio di Anita da Rieti a Roma. (Presso il prof. Giorgio Pantaleo- Roma)
(2) Anita Garibaldi – vita e morte” a cura di Isidoro Giuliani e Antonio Fogli – Edizioni Marcabò – Mandriole – Ravenna – pag. 71
(3) ivi, pag. 75
(4) Ermanno Loevinson, Giuseppe Garibaldi e la sua Legione nello stato romano – vol. I
(5) Anita Garibaldi – vita e morte, op. cit.
(6) Angelo Sacchetti Sassetti, Rieti nel Risorgimento, cap. V – pag. 210
(7) ivi, cap. V
(8) ivi, cap. V
(9) Marina A. Saba, Anita Garibaldi – Dentro e fuori del mito, Quaderni di Camicia Rossa 2/1999
(10) Angelo Sacchetti Sassetti, op. cit., cap. V
(11) Marina A. Saba, op. cit.
(12) ivi
(13) Registri dei battesimi delle parrocchie reatine dal 1850 fino al 1861 c/o Archivio comunale di
Rieti – Registri delle nascite della città di Rieti dal 1862 in poi.
(14) Angelo Sacchetti Sassetti, op. cit, pag. 210
(15) ivi
(16) Filippo Cappelletti, Garibaldi a Rieti, in “Unione Liberale”
(17) Angelo Sacchetti Sassetti, op. cit. pag. 211
(18) Testimonianza orale di Felice Bucci raccolta da Angelo Sacchetti Sassetti
(19) Marina A. Saba, op. cit.