di Luigi Davide Mantovani
All’inizio di agosto del 1918, la Prima guerra mondiale stava per entrare nella fase decisiva di un lunghissimo conflitto. Si lanciava, con la battaglia di Amiens in Francia, la cosiddetta Offensiva dei cento giorni che avrebbe posto fine alle operazioni belliche. A Comacchio, in un clima di attesa e di speranza, si rievocava, come da tradizione, lo sbarco di Garibaldi del 1849 e la “Gazzetta Ferrarese”, il più antico giornale della provincia, del 3 agosto riportava il manifesto degli organizzatori: Domenica 4 agosto sarà commemorato con solennità degna dell’ora, lo sbarco di Garibaldi a Magnavacca. Il magnifico episodio, in cui rifulse lo spirito di devozione del Colonnello Nino Bonnet, serbò Garibaldi alle fortune d’Italia, esso è vivo nella tradizione patriottica comacchiese (…). In quest’anno vibrante di auspici la commemorazione esige unanime concorso di popolo, poiché è degno della Nazione in armi pel suo buon diritto, annodare con ininterrotto legame il presente al passato se dal presente come dal passato la Patria trae forza per proseguire per l’aspra via (…).
Non erano questi tempi – continuava l’inviato della “Gazzetta Ferrarese” – per la retorica vuota di tante passate commemorazioni, l’Italia in guerra non offriva ai seminatori del passato frasi ben tornite ed eleganti allegorie, ma lanciava incontro ai suoi Grandi il presente, l’opera immane dell’ora che volge lo strazio della sua eroica gioventù e cioè le undici battaglie del Carso, la beffa di Buccari, la meravigliosa riscossa del Piave, l’audacia di Premuda. Il manifesto era firmato, fra gli altri, dal commissario regio del Comune rag. Raffaele Fiamingo, Battista Cavalieri Ducati, presidente della Società Reduci Garibaldini, Gelli Raffaele, presidente Circolo Garibaldini Indipendente, ing. Cav. Stefano Bonnet, presidente Comitato Assistenza Civile. Il giornale riportava ugualmente nell’articolo Porto Garibaldi!, che il giorno precedente il regio commissario aveva ribattezzato il porto di Magnavacca col nome di Porto Garibaldi con una delibera che appariva opportuna e sarà accolta con il migliore consentimento dalla nostra popolazione. I maggiori organizzatori erano state le varie associazioni patriottiche, in particolare quella dei Reduci garibaldini con l’intervento dell’ing. Cavalieri Ducati – Antonio futuro fondatore dell’azienda Ducati oggi famosa nel mondo come marchio motociclistico – e l’avv. Giuseppe Longhi della segreteria delle Opere Federate, l’organizzazione di sostegno civile di assistenza e propaganda creata in occasione della Prima guerra mondiale, con sede principale a Ferrara, che aveva curato soprattutto i trasporti con corse speciali dei treni della linea Ferrara-Ostellato-Comacchio- Magnavacca. Tuttavia, quella che il corrispondente speciale della “Gazzetta Ferrarese” descrive, è una vera e propria festa di un popolo, non scevra di un collettivo raccoglimento –Come ad un rito egli titola efficacemente l’articolo di cronaca- che si riversa nell’antica Magnavacca con ogni mezzo. Oltre al treno speciale, fin dalla sera del sabato 3 erano giunte da ogni dove rappresentanze che, esauriti gli alberghi, avevano dormito su divani e poltrone di case private, in fienili delle fattorie, ripari improvvisati, mentre la domenica arrivarono soprattutto le famiglie del territorio circostante -Ostellato, Migliarino, Massafiscaglia, in particolare- con automobili, birocci, biciclette e barconi dalle valli, stracolmi di donne e bambini che andavano per imparare ed educarsi. Innumerevoli erano le bandiere dei sodalizi patriottici e combattentistici ed i gonfaloni dei Comuni: fra essi spiccavano i rappresentanti della Fratellanza Americana e la Società dei reduci garibaldini di Ferrara, guidata da Carlo Gostoli, antico combattente in diverse campagne garibaldine ed il colonnello Ugo Turbiani, che nella guerra del 1866 era stato staffetta a cavallo di Garibaldi ed in seguito avrebbe ospitato, nella sua casa di via Ripagrande a Ferrara, il garibaldino lendinarese Alberto Mario che vi scriveva il notissimo La Camicia rossa, libro-reportage in presa diretta dell’impresa dei Mille del 1860, uno dei più felici e maturi diari-memoriali di quell’avvenimento decisivo per la storia d’Italia. Per Comacchio partecipavano il Circolo Giuseppe Mazzini, la Società Impiegati Vallivi, Società Pisa, Società Muratori, Sindacato Operaio di Bosco Eliceo, Società Cacciatori, Sindacato Operaio di Magnavacca, Società Stella, Società Unione: come si può osservare, oltre al patriottismo aderiva anche il mondo del lavoro. A suggello della commemorazione venivano inviati un telegramma al generale Armando Diaz, in zona di guerra ed al generale Ricciotti Garibaldi a Roma, che così rispondeva: Riconoscente alto onore fatto alla mia famiglia ringrazio saluto tutti i presenti, felice che sia ricordato così gentilmente l’episodio dell’epopea nazionale che i nostri valorosi soldati portano a felice compimento oggi.
In altre parole, continuità fra Risorgimento e Prima guerra mondiale. L’oratore ufficiale, prof. Eudoro Bertozzi, dopo aver narrato i fatti dello sbarco e del salvamento, volendo mettere in rilievo il particolare e profondo legame quasi simbiotico fra Garibaldi ed il territorio, aveva usato un’espressione assai pregnante: Comacchio accolse, ospitò, trattenne G. Garibaldi, rinverdendo attraverso gli anni il culto per l’eroe. Indubbiamente quel trattenne -come se lo spirito di Garibaldi non se ne fosse mai andato- doveva essergli stato suggerito dall’atteggiamento partecipe ed assorto della grande massa di popolo che lo ascoltava. D’altra parte fra le figure storiche cui riferirsi, forse sarebbe meglio dire dedicarsi, nella eterna lotta contro gli austriaci nessuna era più adatta di Garibaldi, anzi si può dire che l’intera guerra venne condotta nel suo nome. Chi era il condottiero che aveva ottenuto l’unica vittoria, a Bezzecca, nella disastrosa guerra del 1866 contro gli austriaci ed ugualmente chi aveva battuto i prussiani nella battaglia di Digione in Francia, mentre l’imperatore Napoleone III aveva subito l’umiliante disfatta di Sedan? Garibaldi, e sempre al comando di truppe volontarie, quell’esercito di popolo, quella nazione armata che lui stesso aveva ideato contrapponendola agli eserciti permanenti.
L’Italia monarchica, per uscire dall’imbarazzante Triplice alleanza con l’Austria e la Germania, aveva ancora bisogno dei garibaldini: Ricciotti ed i suoi sei figli avevano formato una legione comandata da Peppino, il maggiore d’età, e formata da volontari in buona parte italiani, che nel 1914 iniziò ad operare nella zona delle Argonne per giustificare il rovesciamento dell’alleanza. Mentre il governo italiano si mostrava incerto fra intervento e neutralità e nel paese si scontravano i sostenitori delle due opzioni, due dei figli di Ricciotti Garibaldi, Bruno, il 26 dicembre 1914 e Costante il 5 gennaio 1915, rimasero uccisi in combattimento suscitando una enorme ondata emotiva nell’opinione pubblica italiana, favorevole all’intervento a fianco della Francia.
A Ferrara le forze politiche e sociali, dopo qualche esitazione di parte dei cattolici e dei giolittiani, si schierarono con l’eccezione dei socialisti la cui linea ufficiale era quella della neutralità, a favore dell’intervento a fianco della Francia. A sostenere questa scelta furono soprattutto i giovani studenti redattori del “Gazzettino Rosa”, un periodico anticlericale, finanziato dalla massoneria, creato proprio in funzione interventista e sostenuto anche dai sindacalisti rivoluzionari, sul quale scriveva un loro esponente di punta, Sergio Panunzio, professore nelle scuole secondarie e docente alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara. Il giornale prendeva il nome dall’omonimo “Gazzettino Rosa” fondato da Felice Cavallotti ed Achille Bizzoni dopo l’episodio di Mentana ed era scritto quasi interamente da studenti universitari di orientamento socialista, però dichiaratamente interventisti – ragione per cui vennero espulsi dal partito – e antinazionalisti. Fin dal primo numero, uscito significativamente il 20 settembre del 1914 per celebrare la breccia di Porta Pia, i giovani redattori Germano Manini, Mario Poledrelli, Giuseppe Longhi, Enea Ferraresi, dichiarando guerra alla guerra individuarono fra gli antenati politici loro ispiratori proprio Garibaldi. Allo scoppio del conflitto si arruolarono come volontari e in buona parte rimasero uccisi nei primi combattimenti. Di notevole livello intellettuale e culturale avevano ripreso i temi classici della nazione armata e della difesa delle patrie assalite, ma non nel nome della patria; in quello dell’Umanità. Di fronte alla posizione socialista antinterventista, a dire il vero non assoluta, i giovani redattori usarono proprio il nome di Garibaldi per superare il veto politico. Infatti, il 10 gennaio 1915, quando era da pochi giorni arrivata la notizia della morte di Costante, il giornale intitolava a tutta prima pagina La neutralità si spegne col Garibaldinismo e così ancora il 21 gennaio nell’art. Sulle orme di Garibaldi scriveva: La storia aulica si fa bella colle pagine scritte col sangue altrui: Calatafimi, Bezzecca, Roma, Venezia, Digione….
Se non con la frequenza del “Gazzettino”, tuttavia anche gli altri giornali, locali e nazionali, usarono prevalentemente la figura di Garibaldi come figura di riferimento storico, molto più di Mazzini, e questo era comprensibile trattandosi di un repubblicano intransigente, ma anche dello stesso re Vittorio Emanuele II la cui memoria riscuoteva ancora apprezzamento generale. Il fenomeno era talmente evidente che persino la stessa “Gazzetta Ferrarese”, giornale dei liberali conservatori, lo codificava osservando come Garibaldi si fosse incarnato nelle nuove generazioni dall’anno della sua morte, e soprattutto con la guerra: E anche a Ferrara questo si è veduto. Domenica scorsa, per esempio. Si parla di Gatti Casazza? E vien fuori Garibaldi! E questo si capisce. Si parla del 14 luglio 1789? E anche lì Garibaldi non ci scapita. La nostra guerra, i nostri soldati, l’odio al tedesco, la grandiosa vittoria sul Piave? Garibaldi, Garibaldi, Garibaldi! Egli è tornato e sinché l’Italia sarà nelle sue mani, sarà bene affidata
Un culto con salde radici
Questa presenza immanente e quasi quotidiana, che ad esempio a Ferrara vedeva le manifestazioni popolari ed i cortei, prima e durante la guerra, partire o finire davanti al monumento di Garibaldi, eretto nel 1907, spiega ampiamente l’intitolazione definitiva a lui della località di Magnavacca, proposta sin dal 1903, rimasta a lungo quasi in un limbo e finalmente avvenuta nel 1919 come suggello della fine del conflitto e della vittoria. Tuttavia il religioso pellegrinaggio della grande massa di popolo che, il 4 agosto 1918, aveva omaggiato la sua figura, assurta a simbolo morale della nazione, scaturiva anche da una solida, anche se talvolta contrastata, presenza politica nel Ferrarese, soprattutto nel territorio di Comacchio. Tutto infatti era cominciato nel 1848 dopo l’incontro di Garibaldi con Gioacchino Bonnet a Ravenna nel novembre e la sua successiva visita a Comacchio. Nelle elezioni per la Costituente del 1849, il Circolo popolare di Comacchio riusciva ad imporre alla commissione elettorale provinciale, prevalentemente liberale moderata, i suoi candidati filo repubblicani, poi eletti, e cioè Giovanni Cavalieri Ducati, un mazziniano che ottenne 18822 voti di preferenza, undicesimo in tutto lo Stato, e Tommaso Cavalieri Stecchi. Questo orientamento politico sociale rappresentò la base di una lunga prevalenza elettorale di partiti filo democratici-repubblicani, tanto che Comacchio si uniformò maggiormente alla Romagna che al resto del territorio ferrarese. Infatti nelle elezioni politiche del 1865, nel collegio di Comacchio, venne eletto deputato Federico Seismit-Doda, un esule dalmata, fervente patriota, che nel 1849 aveva combattuto in difesa della Repubblica Romana. Confermato consecutivamente per nove legislature, più volte ministro delle Finanze e del Tesoro si occupò frequentemente delle travagliate questioni delle valli di Comacchio. Venne eletto per l’ultima volta nel 1882, grazie al sistema elettorale cosiddetto dello scrutinio di lista che originò la più grande vittoria degli esponenti democratici di estrazione garibaldina che conquistarono tutti i seggi disponibili. Infatti, gli eletti Giovanni Gattelli, Cesare Carpeggiani, Severino Sani e, appunto, Seismit-Doda, avevano variamente partecipato da volontari garibaldini alle difese ed alle campagne del 1849, 1860, 1866.
In particolare in quest’ultimo anno, grazie a Nino Bonnet, i ferraresi si arruolarono in massa -circa 820 giovani in pochi giorni-, ma avrebbero potuto essere di più, se le operazioni di ingaggio non fossero state bloccate con vari pretesti, per timore che le truppe volontarie divenissero troppo numerose rispetto ai soldati di leva. I comacchiesi furono circa ottanta, di tutte le condizioni sociali. Nel gruppo si distinguevano i tre fratelli Cavalieri Ducati, Battista (18 anni), Lorenzo(22), Prospero (25), figli di Carlo, a lungo gonfaloniere di Comacchio nel periodo pontificio (sarà lui, con i tre figli, a fondare nel 1926 la Società scientifica radio brevetti Ducati a Bologna). Battista e Lorenzo seguirono Garibaldi anche a Mentana, dove furono fatti prigionieri assieme ad altri tre compaesani, fra i quali spiccava il fabbricatore di pesce Luigi Fabbrini, già volontario nel 1859 in Romagna, nel 1860 nel Regno di Napoli, nel 1862 ad Aspromonte e nel 1866 in Tirolo.
Dopo Mentana Garibaldi rimase in rapporto soprattutto con Nino Bonnet e con il conte agronomo Francesco Aventi di Ferrara, che nel 1866 era stato a Bezzecca, e che nel 1869 lo raggiunse in Sardegna per realizzare un piano di bonifica dell’isola e fornire consigli agronomici.
Garibaldi a Magnavacca oggi
Fin dal 1884, due anni dopo la morte di Garibaldi, a Comacchio ed a Magnavacca cominciarono annualmente, in occasione della data dello sbarco, le rievocazioni storiche, promosse soprattutto dalle associazioni di ex garibaldini e di ex combattenti reduci dalle patrie battaglie, cui accorrevano da tutta la provincia simpatizzanti politici e semplici cittadini che avevano nel cuore la figura dell’eroe. In quelle occasioni, cominciarono ben presto anche distinzioni, rivendicazioni da diverse parti politiche del diritto della ortodossa eredità del pensiero e dell’azione di Garibaldi, fatto questo comprensibile se consideriamo la complessità della sua vita e dei tempi in cui si svolse.
E’ poi luogo comune negli innumerevoli siti in cui si ricorda in Italia la presenza, il soggiorno o addirittura solo il passaggio o l’affacciarsi ad una finestra di Garibaldi chiedersi ironicamente se quelle attestazioni in genere marmoree corrispondano a verità. Ebbene, credo che si possa dare fede a queste testimonianze vista la prodigiosa quantità di incontri, di percorsi, di azione dalla Sicilia al Tirolo, attivamente ed appassionatamente vissuti dal Nostro. Se una qualche presenza fosse invece stata inventata, sarebbe un fatto ancor più sintomatico, la testimonianza di un affetto, di un desiderio di valorizzazione, forse ancora più significativi della realtà. Indubbiamente i luoghi dove sono avvenuti fatti rilevanti nella biografia di Garibaldi sono numerosi ed i rispettivi monumenti, a loro volta spesso interessanti per motivi storici ed artistici.
Ma senza dubbio Magnavacca, questa piccola porzione di territorio, questa comunità di poche anime che tramuta la propria antica denominazione territoriale con quella di un uomo è straordinariamente significante, è un transfert affettivo, che provoca un sentimento di simpatia verso quella comunità che, come sagacemente aveva intuito Eudoro Bertozzi, accolse, ospitò trattenne G. Garibaldi.