IL GENERALE LORENZO VIVALDA AL COMANDO DELLA 230ᵃ DIVISIONE NELLA CAMPAGNA D’ITALIA (1944-1945) Federico Goddi

La storia di Lorenzo Vivalda è inevitabilmente connessa alle scelte operate dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Nell’aspro territorio montenegrino il generale guidò i reparti italiani in combattimento contro le truppe tedesche. In quel settore Vivalda fu protagonista delle operazioni della guerra partigiana dal 2 dicembre 1943 al 12 agosto 1944 con incarichi di comando nella Divisione italiana partigiana “Garibaldi”[1]. L’ufficiale non ebbe però la possibilità di tornare in patria con i suoi uomini poiché nel novembre del ’44 fu ‹‹rimpatriato dal Montenegro per esuberanza dell’organico dei reparti partigiani […] del Comando divisione italiana ‘Garibaldi’››[2].

Il lessico burocratico dello Stato di Servizio di Vivalda nasconde in realtà una questione di politica militare nota agli specialisti dell’argomento: l’opposizione del generale alla prigionia ad opera dei partigiani jugoslavi del tenente colonnello Ezio Stuparelli e del maggiore Bruno Monsani. Vivalda si spese in più circostanze per la loro liberazione, col risultato di risultare inviso ad alcuni influenti ufficiali dell’EPLJ[3].

Il presente contributo ambisce a diradare le nubi che avvolgono le fasi successive della carriera militare di Vivalda e che celano la storia delle unità ausiliarie del Regio esercito nella guerra di Liberazione[4]. Durante la Campagna d’Italia degli angloamericani numerosi reparti italiani, denominati appunto “unità ausiliarie”, collaborarono con gli Alleati in diverse funzioni al fine di facilitarne le operazioni belliche. Le attività svolte dalle truppe italiane furono innumerevoli: lavori effettuati per ripristinare la viabilità ferroviaria e stradale; rimozione di campi minati; ristrutturazioni di porti ed aeroporti; organizzazione e gestione di campi sosta per autocolonne grazie ad un lavoro di manovalanza costante. Con l’aumento considerevole delle unità e dei materiali sbarcati, divenne sempre più pressante l’organizzazione di nuove basi aeree, navali e logistiche. Era inoltre urgente l’impianto ed il ripristino di linee telegrafiche e telefoniche affiancato da servizi di protezione e guardia svolti per la sicurezza di depositi, delle strutture logistiche, dei ponti ed infrastrutture. Alle unità italiane era delegata la sicurezza delle retrovie e delle linee di operazioni alleate[5].

Il lungo elenco degli esercizi svolti non indica questioni squisitamente pratiche, bensì sottende nodi di ordine politico[6]. Tuttavia, la storia di quei soldati è rimasta per un lungo tempo in un cono d’ombra perché si è preferito analizzare le evoluzioni delle unità combattenti: il I Raggruppamento motorizzato[7], il Corpo italiano di liberazione ed i Gruppi di combattimento[8]. Carlo Vallauri ha rilevato la scarsa equità nel celebrare esclusivamente le glorie di quei tre segmenti delle forze armate italiane a scapito delle unità ausiliarie, quasi dimenticate:

 

Da quanto è emerso nei rapporti dei comandi italiani e dalle stesse carte alleate, la funzione svolta ad opera di queste unità va considerata – sotto l’aspetto dell’impiego umano, logistico e del rischio – alla stregua di quella propria dei reparti operanti, in quanto interamente rivolta ad assicurare ai reparti direttamente combattenti al fronte le migliori condizioni di sicurezza, a prezzo di continui rischi. Compiti necessari, dalla manovalanza ai lavori agricoli o di trasporto a quello, pericoloso, dello sminamento. Né va sottovalutato il fatto che la presenza di militari italiani – pur in compiti subordinati – nei territori via via occupati dalle armate avanzanti determina nella popolazione la sensazione di non essere diventata esclusivamente oggetto di conquista da parte di eserciti stranieri. Queste forme di cooperazione sono utili al fine di stabilire, tra le unità inglesi o americane e gli appartenenti alle divisioni o altri nuclei dell’esercito italiano, relazioni di reciproca fiducia[9].

 

L’esperienza degli “ausiliari” offre quindi diversi spunti di riflessione sulla fase della cobelligeranza. Bisogna infatti sempre tenere a mente che nel settembre del 1943 imperava l’acuta consapevolezza di una sconfitta militare che relegava le forze armate nazionali in uno stato di depressione morale e materiale. Nonostante le enormi incertezze, i reparti interessati al servizio ausiliario prestarono un indispensabile servizio al proseguimento della guerra alleata in Italia. Nelle settimane successive all’armistizio quelle unità del Regio esercito ricevettero immediati ordini operativi dagli Alleati. Alcuni comandanti dei reparti seppero superare lo sbandamento armistiziale abbracciando il nuovo indirizzo politico e militare. Solo grazie a questa granitica certezza – che Vivalda aveva già maturato in Montenegro – alcune divisioni riuscirono meglio a sopperire all’inattività pregressa[10].

Affidare il comando ad un generale che aveva già fatto esperienza della lotta all’ex alleato tedesco risultò un buon viatico anche agli occhi degli Alleati, tanto più che nel novembre del ’44 le relazioni fra le ‹‹popolazioni e gli angloamericani›› non erano certo distese, ed anzi avevano

 

subito un certo raffreddamento dovuto: 1° alla situazione politica internazionale venutasi a creare dopo le dichiarazioni fatte alla Camera dei Comuni da alte personalità politiche inglesi; 2° Alle requisizioni sempre crescenti di appartamenti da parte degli Alleati; 3° Agli atti di violenza sempre più frequenti commessi da militari Alleati a danno di militari e civili italiani.

Conclusione: Anche nel mese di novembre 1944 alto è stato il contributo dato alla Causa Alleata da tutti i dipendenti reparti ed intenso e fecondo di risultati il loro apporto. Comandanti e truppa, consapevoli dei loro doveri in questa ora grave per il nostro Paese, con volontà ferma e con spirito di sacrificio, hanno superato ostacoli e difficoltà d’ogni genere, sobbarcandosi ad ogni disagio, fermamente decisi a rendere apprezzabile e meritorio il nostro contributo alla Causa Alleata[11].

 

Il generale Lorenzo Vivalda fu chiamato a gestire una situazione particolarmente complicata dal 20 novembre 1944 quando cessò ‹‹di essere destinato presso il Ministero della Guerra per incarichi speciali ed è nominato facente funzioni di comandante della 230^ divisione›› costiera[12], anche perché l’impiego di tale unità non corrispondeva pienamente alle richieste dello Stato Maggiore italiano. Dalle alte sfere militari giungevano continue pressioni finalizzate ad una più incisiva presenza di unità italiane in prima linea, al fianco degli Alleati[13]. La costituzione delle unità ausiliarie fu il risultato di un compromesso tra le sollecitazioni italiane presso i comandi alleati – pressioni intese ad ottenere la partecipazione attiva di unità militari alla lotta contro i tedeschi – e la diffidenza degli Alleati, restii per comprensibili motivi ad accogliere le richieste italiane.

Un documento d’archivio a firma di Paolo Berardi, Capo di Stato Maggiore del Regio esercito, è utile per la ricostruzione della genesi del comando della 230ᵃ Divisione: ‹‹In conclusione, il comando militare Puglia-Lucania, provvederà: costituire sotto la data del 20 c.m. il comando 230^ divisione con sede in Bari; sciogliere i comandi raggruppamento lavoratori di Bari e Brindisi nonché l’ufficio lavoratori del presidio di Taranto, le cui funzioni saranno assunte dal nuovo comando di divisione››[14].

All’atto della sua costituzione, la 230ᵃ Divisione inquadrava le seguenti unità: il 403° rgt. pionieri ed il 992° reparto portuali (a Bari); il 404° rgt. pionieri ed il 924° reparto portuali (a Brindisi); il 406° rgt. pionieri ed il 923° reparto portuali (a Taranto); il Comando del 541° rgt. fanteria (ad Ortona) dal quale dipendevano diversi reparti  dislocati nelle province di Pescara, Chieti e Campobasso; il Comando italiano genio presso il II Distretto britannico in Bari[15]; i campi di riordinamento e transito di Bari e di Trani; il LII gruppo della 205ᵃ Divisione; il III btg. del 408° rgt. fanteria (Foggia e Ortona); il 921° reparto portuali (a Barletta); cinque battaglioni di sicurezza e guardia; altri piccoli reparti dei servizi.

Il quadro di battaglia della Divisione alla data del primo gennaio del 1945 era pressoché immutato rispetto a quello esposto. Quasi tutte le unità avevano mantenuto invariate le precedenti dipendenze operative dai vari enti e comandi britannici. Nei primi mesi di quel nuovo anno di guerra il generale Vivalda non risparmiò alcune critiche agli Alleati:

 

L’appoggio dei comandi alleati è molto modesto e si limita alla saltuaria assegnazione di qualche automezzo per la vita dei reparti. Maggiore interessamento esplicano gli ufficiali alleati di collegamento che sono riusciti ad ottenere assegnazione di viveri di conforto per reparti che lavorano in disagiate condizioni. Nei confronti degli alleati occorre talvolta usare molto tatto per far comprendere alcune difficoltà insorgenti e l’impossibilità di aderire tempestivamente ad improvvise e pressanti richieste. Nessun incidente ha però, sinora, turbato i rapporti tra comandi alleati e comandi italiani.

Prestazioni eccessivamente onerose e lesive al decoro del soldato: In genere, le autorità alleate hanno sempre mantenuto il senso della misura nelle richieste di prestazioni d’opera. Solo a Brindisi era stato imposto per ragioni contingenti un turno di lavoro notturno di ben 11 ore, turno che in seguito a un mio personale intervento è stato ridotto a nove ore. Nessuna richiesta da parte degli alleati di prestazioni lesive al decoro del soldato[16].

 

Durante i mesi invernali del 1945 e fino a tutto aprile ripresero i trasferimenti di diverse unità della Divisione, prevalentemente verso nord, motivati dal disimpegno britannico dalle zone delle retrovie nell’Italia settentrionale e conseguentemente dalle sempre crescenti esigenze di impiego di unità ausiliarie, soprattutto in Toscana e nelle Marche. In questa fase gli ausiliari furono indispensabili per le mansioni logistiche e di mantenimento delle comunicazioni. In mancanza dell’aiuto italiano, gli Alleati avrebbero dovuto gestire in proprio l’incombenza con un significativo aggravio in termini di forze. I principali movimenti riguardarono: i battaglioni guardia 502° e 503°, trasferiti ad Arezzo rispettivamente in data 3 febbraio e 10 gennaio; il Comando del I btg. del 404° rgt. pionieri ed alcune compagnie di tale battaglione, nonché il II btg. dello stesso rgt., accorpati alla 227ᵃ Divisione; il Comando del 406° rgt. pionieri, trasferito ad Arezzo il 2 aprile; il II btg. del 406° rgt. pionieri con quattro compagnie, trasferito ad Ancona il 4 aprile. In quella fase il Comando italiano genio per il II Distretto cambiò il proprio nominativo in 72° Nucleo italiano per Comando genio del II Distretto. Il 25 aprile arrivò a Brindisi da Frosinone il 524° btg. guardia.

Il successo dell’offensiva primaverile ed il dilagare nella pianura padana ed in tutto il nord d’Italia delle forze alleate comportarono alla fine di aprile ed ai primi di maggio mutamenti di giurisdizione e di dipendenze per quasi tutte le grandi unità ausiliarie. Per quanto concerne la 230ᵃ Divisione, fu disposto il trasferimento da Bari a Firenze del Comando della Divisione e l’inquadramento di tutti i reparti già da esso dipendenti nell’ambito della 227ᵃ. Il passaggio delle competenze fra i comandi delle due unità ebbe luogo il 4 maggio ed è registrato dallo stesso Vivalda:

 

Il Comando 230^ Divisione si è trasferito tra il 5 e l’11 del mese di maggio da Bari a Firenze, secondo l’ordine […] ricevuto. I compiti e le attribuzioni ad esso devoluti nella zona di Bari, sono stati assunti, a partire dalle ore zero del 4 maggio, dal Comando 227^ Divisione […]. Per disposizioni del 2° Distretto, il Comando 230^ Divisione, giunto a Firenze, ha assunto alle sue dipendenze disciplinari ed amministrative i reparti BR-ITI [forze italiane che collaboravano con i britannici][17].

 

Il 10 maggio il Comando della 230ᵃ si sistemò definitivamente nella Caserma “Costa San Giorgio” a Firenze, già sede del Comando della 231ᵃ. Assunse alcuni reparti dislocati tra Firenze e Livorno, fra gli altri, il 22 maggio ricevette il I rgt. guardia ed il 412° rgt. pionieri, ed il 25 maggio riebbe alle proprie dipendenze il 72° Nucleo italiano per il Comando genio del II Distretto, anch’esso trasferitosi da Bari a Livorno. In sintesi, alla data del 31 maggio, dipendevano dalla Divisione (per un complesso di 205 ufficiali e di 3.890 sottufficiali e truppa): il I rgt. guardia, con tre btg. (502°, 503°, 519°), ciascuno su quattro compagnie; il Comando del 412° rgt. pionieri, con cinque compagnie pionieri e con il II btg. del 402° rgt. pionieri, su sette compagnie; il predetto 72° Nucleo italiano per il Comando genio del II Distretto.

A giugno, in conseguenza di una nuova ripartizione del territorio nazionale tra le due Armate alleate e gli altri enti degli angloamericani preposti all’organizzazione logistica (con particolare riferimento ai Distretti britannici), si addivenne ad una revisione delle competenze territoriali fra le divisioni ausiliarie. Alla 230ᵃ Divisione, oltra alla Toscana, fu assegnata l’Umbria. La grande unità passò quindi alle dipendenze del I Distretto inglese ed assunse progressivamente tutte le unità dislocate in quelle due regioni. Perse invece il 2° Nucleo italiano, che si trasferì a Milano. Sul principio di luglio, la Divisione agli ordini di Vivalda era così composta: il I rgt. guardia con i suoi tre btg.; Il 402° rgt. pionieri; Il 412° rgt. pionieri; il 400° rgt. pionieri con il proprio I btg. su sei compagnie; tre battaglioni guardia. Inoltre furono accorpate delle compagnie forestali, genio, pionieri autonome unitamente ad alcuni reparti salmerie. A questa data la forza presente della Divisione era di 385 ufficiali e 8.330 sottufficiali e truppa.

A partire da luglio, la Divisione assunse alcuni nuclei di ex prigionieri italiani cooperanti, che avevano prestato la loro opera a favore delle unità britanniche in Toscana. Tali nuclei sarebbero stati sciolti progressivamente nei mesi successivi ed i relativi militari congedati o inseriti nei reparti organici della Divisione. Il 20 agosto, essendosi estese alla Toscana, alle Marche ed all’Umbria le competenze del III Distretto inglese, la 230ᵃ Divisione passò alle dipendenze di quest’ultimo ente ed assunse anche i reparti già della 209ᵃ Divisione dislocati nella zona di Ancona. Alla fine di agosto la Divisione inquadrava 514 ufficiali e 11.600 uomini tra sottufficiali e truppa. A partire dai primi di settembre la forza della 230ᵃ cominciò a calare sensibilmente, in conseguenza dei congedamenti delle classi anziane, del trasferimento di alcuni suoi reparti, dello scioglimento progressivo di tutte le altre unità. Lo scioglimento più consistente dei reparti della Divisione si verificò tra settembre e ottobre. Alla data del 10 novembre non vi era più alcun motivo di mantenere in vita il Comando della 230ᵃ Divisione, essendo ormai diminuito drasticamente il numero e l’entità dei reparti da esso inquadrati. Lo Stato Maggiore ne dispose quindi lo scioglimento. Il Comando del 716° rgt. amministrativo (posto alle dipendenze della 227ᵃ Divisione) ne assunse le prerogative.

Al generale Vivalda non restò che rilevare il cambiamento di ordinamento: ‹‹Dalle ore 01 dell’11 novembre subentrerà nei compiti attualmente devoluti al sopradetto Comando del 716° Raggruppamento Amministrativo alle dipendenze del Comando 227^ Divisione Amministrativa – Cava dei Tirreni››[18].

Durante tutto il 1945 le principali attività svolte dai reparti pionieri della Divisione riguardarono prevalentemente il carico e lo scarico delle navi nei porti. Le unità guardia furono invece impiegate nei servizi di sorveglianza ai magazzini, depositi e scali ferroviari. I reparti del genio vennero adibiti ai compiti adeguati alla loro specializzazione (manutenzione e riattivazione dei tronchi ferroviari, lavori stradali e bonifica dei campi minati). Quest’ultima mansione provocò vittime fra i militari della Divisione. Il Comando della 230ᵃ Divisione inquadrò unità diverse nel suo periodo “pugliese” ed in quello “toscano”, ricevendo comunque costanti attestati di stima dalle forze alleate[19].

Tra le righe del non sempre esaltante lessico burocratico dei documenti militari emerge l’empatia con i sottoposti che aveva contraddistinto Vivalda anche nell’esperienza della “Garibaldi”. Il generale contrasta l’immagine svilente di un comportamento lassista delle truppe italiane:

 

Queste unità hanno svolto nel mese un lavoro continuo, con qualunque tempo, nei porti di Taranto-Brindisi-Bari-Barletta. Le condizioni atmosferiche stagionali hanno reso il lavoro più gravoso. A Brindisi si è verificato il fatto che, venuta a mancare per alcuni giorni la manovalanza civile per il rigore del freddo, tutto il lavoro del porto è gravato sul personale militare. Ad Ortona una squadra della 141^ Cp. ha effettuato la rimozione delle salme del Cimitero Canadese con mezzi di protezione e disinfezione inadeguati[20].

    

Marco Ruzzi in un’analisi generale sugli Italian Pioneer nella guerra di liberazione ha rilevato che diversi comandanti osteggiarono il concetto di ausiliarietà perché lesivo della virilità dei soldati. In quella delicata fase, il rischio era la disaffezione verso i doveri, riconosciuti come estranei rispetto a quelli dei militari. In alcuni casi, l’atteggiamento si traduceva in aperta sfiducia dei superiori o in una sensazione di reciproco inganno. La diserzione poteva divenire il risultato estremo, la sola risposta nei confronti dello Stato, oppure era probabile che i soldati si rifugiassero nella dimensione lavorativa come unica speranza. In sostanza un comandante delle ausiliarie doveva fuggire da un concetto di passività figlio della totale subalternità militare agli angloamericani[21].

Le ripetute lamentele di Vivalda per lo scarso appoggio dato dai comandi e organi di collegamento alleati era finalizzato proprio al miglioramento della condizione dei suoi uomini. Risollevare il morale e lo spirito era un obiettivo costante delle sue relazioni mensili. Vivalda cercò di essere molto attento di fronte a queste esigenze: ‹‹L’interessamento degli ufficiali alleati di collegamento ha portato all’assegnazione di viveri di conforto per alcuni reparti che svolgono attività di notte nei porti ed all’assegnazione di materiale vario per migliorare la sala convegno di qualche reparto››[22]. Altra preoccupazione costante di Vivalda fu di operare una giusta rotazione delle compagnie operanti al fine di motivare i sottoposti e per vegliare sull’armonia dei rapporti interni[23].

Era l’ultima battaglia del generale Vivalda che morì in un tragico incidente stradale (Ronciglione, 12 novembre 1945) a pochi giorni dalla fine di quell’esperienza di comando[24]. Proprio a lui era toccata l’impresa difficilissima di costituire una divisione solida con soldati provenienti da contesti diversi e con origini disparate. Un compito inedito per un comandante legatissimo alle truppe alpine, una specialità invece fedele al concetto dello spirito di corpo. Vivalda aveva comandato in Jugoslavia una delle grandi unità alpine, la “Taurinense”, una divisione forte, compatta ed omogenea. Alcuni battaglioni alpini di quella Divisione furono fondamentali nella successiva lotta antitedesca. Una guerra per “tornare a baita”, conservando il cappello alpino e le stellette sul grigioverde, simboli militari dell’amor patrio[25].

[1] Cfr. Federico Goddi (a cura di), Lorenzo Vivalda, L’ 8 settembre in Montenegro: la relazione del generale Lorenzo Vivalda, prefazione di Annita Garibaldi Jallet, Firenze, ANVRG, 2017.

[2] Archivio Persomil, 1° originale dello Stato di Sevizio, numero di matricola 7377 “Vivalda Lorenzo”.

[3] Cfr. Carlo Vittorio Musso, Per la libertà dei popoli: memorie garibaldine. Penne nere allo sbaraglio: diario di guerra di Carlo Vittorio Musso, prefazione di Annita Garibaldi Jallet, [S.l.], A.N.V.R.G., 2008, pp. 112-126.

[4] A tal proposito si vedano le interessanti considerazione di Marco Ruzzi: ‹‹La storiografia, anche quella militare (o forse soprattutto quella militare) ha preferito stendere un manto di oblio sull’operato di questi soldati, sostanziandolo con treni scaricati, navi svuotate e strade riparate; traducendolo, nella letteratura, con simili affermazioni: ‘l’apporto – umile, ma altrettanto valido – delle unità ausiliarie, iniziato il 23 settembre 1943 con la manovalanza di alcune migliaia di uomini nel porto di Bari e ammontanti, a fine ostilità, ad una forza di 196.000 uomini’››, in Marco Ruzzi, Gli Italian Pioneer nella guerra di liberazione: a fianco degli alleati dalla Puglia alla Venezia Giulia, 1943-45, Genova, F.lli Frilli, 2004, p. 184. Alle pagine 133-134 del volume è presente una breve biografia di Lorenzo Vivalda.

[5] Ministero della difesa [compilato da Luciano Lollio], Le unità ausiliarie dell’esercito italiano nella guerra di liberazione: narrazione, documenti, Stato maggiore dell’esercito – Ufficio storico, Roma, 1977, pp. 7-8.

[6] Il fattore di apparati logistici efficienti è fondamentale in qualsiasi esperienza bellica. L’importanza in tale settore durante la Campagna d’Italia è rintracciabile in un’analisi di Giorgio Rochat: La Campagna d’Italia 1944-1945: linee e problemi, in Giorgio Rochat – Enzo Santarelli – Paolo Sorcinelli (a cura di), Linea gotica 1944: eserciti, popolazioni, partigiani, Milano, F. Angeli, 1986, p. 22.

[7] Resta fondamentale nello specifico il volume di Giuseppe Conti, Il primo Raggruppamento motorizzato, Roma, Ufficio storico SME, 1984.

[8] Per il dibattito storiografico su queste unità combattenti si rimanda all’esaustivo saggio di Nicola Labanca, Militari e Resistenza. Le svolte della storiografia, in Nicola Labanca (a cura di), I gruppi di combattimento: studi, fonti, memorie, 1944-1945: atti del Convegno, Firenze, 15 aprile 2005, Roma, Carocci, 2006, pp. 21-62.

[9] Carlo Vallauri, Soldati: le forze armate italiane dall’armistizio alla Liberazione, Torino, UTET, 2003, pp. 287-288.

[10] In ordine temporale l’ultima tra le non molte ricostruzioni storiche sulle vicende delle truppe ausiliarie è di Giovanni Cecini, Le Unità ausiliarie, in Marco Maria Aterrano (a cura di), La ricostituzione del Regio esercito dalla resa alla liberazione 1943-1945, Roma, Rodrigo, 2018, pp. 113-161.

[11] AUSSME (Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito), DS (Diari storici), busta 4220, fascicolo “230ᵃ Divisione. Contributo dell’Italia alla causa alleata”, Comando militare della Puglia e Lucania. Stato Maggiore – Ufficio Operazioni [Periodo 1-30 novembre 1944], Il Generale Comandante Ismaele Di Nisio.

[12] Archivio Persomil, 1° originale dello Stato di Sevizio, numero di matricola 7377 “Vivalda Lorenzo”.

[13] Lo stesso Capo di Stato Maggiore, Paolo Berardi ha sottolineato nelle sue memorie l’importanza per gli alleati di poter disporre di divisioni attrezzate per la montagna. Cfr. Paolo Berardi, Memorie di un capo di Stato Maggiore dell’esercito, Bologna, O. D. C. U., 1954 , p. 73.

[14] AUSSME, DS, b. 4230, fasc. “Comando di Grandi Unità. 230ᵃ Divisione”, n. 8595/Ord. di prot., Oggetto: Costituzione comando, Roma, 12 novembre 1944, P. Berardi.

[15] Il territorio liberato era articolato in due fasce: la zona di operazioni sotto la giurisdizione del XV Gruppo di Armate e le retrovie divise in District britannici e Peninsular Base Section (PBS) statunitense. Cfr. Marco Ruzzi, cit., p. 110.

[16] AUSSME, DS, b. 4220, cit., P.M. 3800 (n. 846 Op.), Oggetto: Contributo delle truppe ausiliarie alla causa degli alleati, 8 febbraio 1945, Lorenzo Vivalda.

[17] Ivi,  n. 240/Ord. di prot., Oggetto: Contributo delle truppe ausiliarie alla causa degli alleati, 18 giugno 1945, Lorenzo Vivalda.

[18] AUSSME, DS, b. 4224, fasc. “230ᵃ Divisione. Situazioni descrittive 1944/1945”, n. 3546/Ord. di prot., Oggetto: Scioglimento Comando 230^ Divisione Amministrativa e costituzione Comando 716° Raggruppamento Amministrativo, Firenze, 7 novembre 1945, Lorenzo Vivalda.

[19] Ministero della difesa [compilato da Luciano Lollio], cit., pp. 180-185.

[20]  AUSSME, DS, b. 4220, cit., P.M. 3800 (n. 1442 Op.), Oggetto: Contributo delle truppe ausiliarie alla causa degli alleati, 10 marzo 1945, Lorenzo Vivalda.

[21] Marco Ruzzi, cit., pp. 186-188.

[22] AUSSME, DS, b. 4220, cit., P.M. 3800 (n. 1721 Op.), Oggetto: Contributo delle truppe ausiliarie alla causa degli alleati, 12 aprile 1945, Lorenzo Vivalda.

[23] Marco Ruzzi, cit., pp. 189-191.

[24] Il 10 novembre del 1945 era stato destinato al Comando militare territoriale di Genova. Archivio Persomil, 1° originale dello Stato di Sevizio, numero di matricola 7377 “Vivalda Lorenzo”. Grazie alla documentazione archivistica presente in questo articolo siamo inoltre in grado di rettificare un’inesattezza riguardante la data di morte del generale (che quindi non avvenne il 17 aprile del ‘45), cfr. Federico Goddi (a cura di), Lorenzo Vivalda, L’ 8 settembre in Montenegro: la relazione del generale Lorenzo Vivalda, cit., p. 15

[25] A testimonianza di quello spirito, è significativo un ricordo dei “suoi” alpini apparso sul periodico dell’Associazione Nazionale Alpini: Per l’onore: ‹‹Taurinense›› e ‹‹Ivrea›› in Jugoslavia, “L’Alpino”, n. 12 dicembre 1949.