Laura ANTONELLI, Andrea GIACONI, Una Famiglia in lotta. I Martini tra fine Ottocento, Grande Guerra, Resistenza e Deportazione, presentazione di Nicola Labanca, Edizioni dell’Assemblea, Consiglio Regionale della Toscana, Firenze, 2017, pp. 197, s.i.p.
Le vicende della famiglia Martini, come narra già il titolo, fu contrassegnata da una lotta continua per la libertà e per la dignità umana in primo luogo, e per riaffermare con il sacrificio personale dei suoi membri la giustizia nei confronti delle prevaricazioni fasciste e naziste.
La storia di libertà della famiglia nasce dal nonno Martino, forte di una formazione massonica che fu la radice primigenia di quelle svolte democratiche dei Martini nel momento delle scelte definitive che i prefatori fingono di ignorare. Non lo fanno gli Autori che in prima pagina ricordano: “D’altra parte l’attenzione alla giustizia sociale riprendeva l’elemento patriottico dal mazzinianesimo risorgimentale…Ugualmente il vincolo massonico era compenetrante nei legami di parentela che sarebbe rimasto anche negli anni a venire…”. Una storia comune di alcune famiglie o singoli uomini i quali, quando il fascismo mostrò il suo vero volto, staccandosi dalle idealità risorgimentali, forti della loro formazione culturale ed ideale, presero la decisione di combatterlo senza incertezze a rischio della propria vita per la salvezza della democrazia, patrimonio di tutti.
Martino una volta giunto in Firenze a causa del trasferimento famigliare fu assunto presso l’avvocato Venturi quale commesso e nel 1909 entrò a far parte del Consiglio direttivo della Società tra commessi di studio legale, oltre a far parte dell’ “Associazione Mazzini e Garibaldi” collegata al partito repubblicano del quale era pure dirigente. Nel 1905 è già nella Tipografia Materassi di Firenze (era la professione del padre Ugo) quale consulente, in seguito come amministratore. L’iscrizione alla massoneria sarà indotta dall’ambiente cooperativo associazionistico e politico democratico di cui faceva parte e dall’idealità paritetica di tali ambienti creati e contaminati dalla stessa fino dai primi dell’Ottocento. Dieci anni dopo coronerà il sogno di possedere a suo nome uno Stabilimento lito-tipografico situato in Prato ove trasferirà la residenza e l’appartenenza nella locale loggia “Intelligenza e Lavoro”. Parimenti furono frequenti i contatti con Giuseppe Meoni (1789 -1934) giornalista del “Messaggero” di Roma, già Consigliere comunale di Firenze e appartenente sia al Partito repubblicano sia ai vertici del Grande Oriente d’Italia. La comune militanza nei due sodalizi determinò il favorevole giudizio sull’intervento in guerra dell’Italia, quale completamento dei valori risorgimentali nella riconquista della patria irredenta. Nel 1919 costituì la loggia “Giuseppe Mazzoni” in Prato, avendo cessato di vivere l’”Intelligenza e Lavoro” nel 1917, e fondò il periodico repubblicano “Ora e Sempre” divenendone direttore. Il messaggio che traspariva dall’organo di stampa era fondato nelle proprie radici democratiche, mutualistiche ed emancipatrici del popolo a tutto tondo. Per tali motivi si trovò in netto contrasto con gli agitatori della “Repubblica dei Soviet” creata nella valle del Bisenzio e a causa delle violenze di questi fu costretto a chiudere il periodico. Parimenti fu attaccata la massoneria da parte dei socialisti che avevano conquistato in Comune la maggioranza nelle amministrative del 1920 e dalla stessa minoranza cattolica, le quali forze congiuntamente esultavano per la vittoria minacciando la classe borghese e i massoni pratesi. Questo isolamento e questa violenza fecero sì che i Fratelli cercarono una forza opposta e contraria con cui farsi scudo, trovandola nei patrioti radicali, futuri fascisti. Ma non così per Martini che si oppose al Venerabile della “Giuseppe Mazzoni” nel 1921, Tommaso Fracassini, inneggiante alla prima azione squadristica nel pratese il 17 aprile. Nel maggio la loggia fece decadere Fracassini e, divenuto Venerabile Martino Martini questi si prodigò per trovare una linea avversa al fascismo e alle sue violenze e cercando di espellere i pochi fascisti presenti nel sodalizio. Questo suo atteggiamento gli provocherà attacchi personali delle squadracce fin nella sua abitazione.
L’incompatibilità nel febbraio del 1923 fra massoneria e fascismo decretata dal Gran Consiglio farà assurgere la loggia “Giuseppe Mazzoni” di Prato, la prima in Italia, a pagare con l’assalto squadrista che ne decretò la chiusura. Seguirà a breve con le “leggi fascistissime” nel 1925 lo scioglimento volontario delle logge. La lotta al fascismo continuò comunque da parte di Martini tanto da dover subire il sequestro de “La Voce Repubblicana” diffuso dalla sua tipografia. Il 3 ottobre 1925, la così detta notte di “San Bartolomeo” per i fiorentini, anche la sua tipografia fu distrutta. Martini riaprì nuovamente una attività tipografica incurante del pericolo, ma le vessazioni fasciste per la pubblicazione del periodico dissidente “Strabisenzio” e per l’attività cospirativa lo costrinsero a dichiararne fallimento nel 1932. Costretto a trasferirsi a La Spezia presso il figlio Mario visse gli ultimi anni in un ritiro silenzioso e dignitoso morendo il 29 ottobre 1952.
Non finì la tradizione libertaria della famiglia. Mario (1899-1991), richiamato alle armi nel maggio 1917, 78° Reggimento fanteria, chiese di essere assegnato in un reparto di prima linea conquistando benemerenze per varie azioni svolte, quali la “Croce di guerra” al valore. Nel 1920, congedato, terminò gli studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Lavorò nella tipografia del padre oltre a dedicarsi all’insegnamento e alla pittura. Nel 1923 sposò la figlia del notaio Camillo Dami, fondatore a Prato della Camera del Lavoro ed altre attività sociali e benefiche. Mario nel 1939 fu richiamato nuovamente alle armi con il grado di Capitano di complemento ed inviato in Albania (83° fanteria) rimanendovi, licenze escluse, fino al 1940. Nel marzo 1941 nuovamente coscritto per la Jugoslavia col 127° reggimento fanteria vi rimase fino al 1942 ricevendo encomi per l’attività civile a favore delle popolazioni locali. Dopo l’8 settembre del ’43 prese la decisione di aderire alla Resistenza pratese e l’assunzione del comando militare di questa col nome di battaglia “Niccolai”. Intraprese valide azioni di concerto con le altre unità politiche resistenziali e si distinse per il coordinamento dei lanci di materiali da parte degli Alleati e per la radio clandestina CO.RA, nella quale collaborava anche il proprio figlio Marcello (1930). Il 9 giugno 1944 fu scoperta la trasmittente clandestina e Marcello Martini fu deportato a Mauthausen, la madre e la sorella arrestate. Sia Milena Dami sia Anna Martini seppero affrontare la terribile esperienza con coraggio e con coscienza delle proprie scelte. E ciò era tangibile dal precedente apporto dato all’esperienza resistenziale. Egualmente, il padre, riuscito a fuggire all’arresto rocambolescamente continuò la lotta partigiana con il secondo nome di battaglia “Ugo Franchi”. Alla fine della guerra ricevette ancora molti riconoscimenti non soltanto dagli Alleati ma perfino dal ministro della Difesa Giovanni Spadolini.
Marcello sopravvisse al campo di concentramento ed oggi è testimone di memorie dei lager non solo presso le scuole.