La Prima Legione ha lasciato nella memoria militare italiana un esempio di eroismo e di attaccamento ai valori della Patria. Gli avvenimenti del 1859 e il futuro assetto organizzativo del Regno d’Italia ne oscurarono invece per quasi un secolo le tracce nella memoria storica del Paese, mentre andrebbero maggiormente valorizzate dalla nostra Repubblica.
Questa monografia di Lino Martini, frutto di un intenso lavoro di studio e consultazione archivistica, rappresenta un importante contributo scientifico che mette in risalto con notevole accuratezza e dovizia di particolari la genesi e l’evoluzione della Legione dei volontari garibaldini, alla quale a giusta ragione il Generale attribuì il nome di “Prima Legione Italiana” partendo dalla sua origine, attraverso la difesa eroica della Repubblica Romana fino al suo scioglimento avvenuto a San Marino nel tentativo indomito di raggiungere Venezia per portare soccorso alla Repubblica che ancora resisteva agli Austriaci.
Come riconosce lo stesso autore, non è agevole nello studio di un qualsiasi tema legato a Garibaldi, del quale si è scritto tutto, trovare piste che ancora non siano state battute da studiosi e storici, ma lo studio di autori che sul piccolo esercito di Garibaldi hanno lasciato opere di pregio, unito a un certosino lavoro di ricerca su alcuni fondi conservati presso l’Archivio di Stato di Rieti, hanno permesso a Lino Martini di consegnare alle stampe un’opera specialistica di notevole spessore. Considerata inoltre l’estesa letteratura esistente sulla difesa di Roma, l’autore ha preferito soffermarsi sul periodo reatino della legione, dove Garibaldi formò e completò il piccolo esercito, e dove trascorse il periodo più lungo della sua vita nella Penisola. La Legione fu in realtà fondata nell’aprile 1843, e nel corso degli anni successivi, complice l’emigrazione italiana dovuta a motivi economici ma soprattutto politici, vide ingrandire le proprie fila. Tuttavia la Legione italiana che Garibaldi va a presentare al Re a Roverbella non convince l’Esercito piemontese né il Governo. Ci volle la prova del fuoco del 1848-1849 per consacrarla in una realtà dalla quale non si poteva più prescindere. La narrazione dei fatti parte dalla città di Macerata, dove un organico di 500 unità si mise in marcia. A Rieti vennero completati gli effettivi, e la Legione venne dotata di una salda ed efficiente organizzazione militare, costituita da otto compagnie di fanteria, due compagnie di cavalleria, una batteria di artiglieria, un battaglione di bersaglieri, uno stato maggiore per la fanteria e uno per la cavalleria. Una particolare attenzione viene dedicata alle tappe della marcia della Legione verso Anagni in esecuzione dell’ordine ricevuto dal Ministero della guerra della Repubblica. Alla notizia che i francesi erano sbarcati a Civitavecchia per restaurare il potere temporale del Papa, la Legione venne dirottata a Roma per dare man forte all’esercito della Repubblica, che riuscì a respingere di nuovo i francesi a Civitavecchia. Contemporaneamente l’esercito borbonico aveva invaso alcune zone a Sud di Roma e Garibaldi, che pensava sempre di invadere il Regno delle Due Sicilie, venne inviato con la Legione a fronteggiare il nemico in subordine al generale Roselli, capo della spedizione. A un primo scontro vittorioso con i francesi, seguì la sconfitta dei napoletani a Palestrina. La situazione cominciò a peggiorare nella battaglia di Velletri e soprattutto quando la Francia, violando gli accordi, cominciò ad attaccare Roma, con l’Austria che minacciosamente stava marciando verso Roma da Nord e perfino la Spagna aveva inviato truppe per partecipare alla restaurazione. Memorabili le pagine nelle quali l’autore ricostruisce le gesta eroiche con le quali gli uomini della Legione difesero disperatamente la loro posizione nelle vicinanze di Porta San Pancrazio. Giovani, spesso giovanissimi, di qualsiasi estrazione sociale, lasciarono ciascuno la propria famiglia e volontariamente scelsero di combattere fino alla fine, senza paura e senza mai arretrare di fronte alla potenza di fuoco francese, in nome di un’idea, che grazie anche al loro sacrificio dieci anni dopo poté diventare realtà: la Patria.
Alessio Pizziconi