Il testo in esame è la prima opera monografica dell’autore e rappresenta il frutto del lavoro di ricerca effettuato per la propria tesi di laurea. Solo negli ultimi anni la storiografia italiana ed internazionale si è dimostrata maggiormente attenta alle politiche di occupazione e repressione attuate dal regime fascista e dalle forze armate italiane nello scacchiere balcanico. Il contesto balcanico, caratterizzato da una profonda crisi economica e da una miseria dilagante, vide le truppe italiane operare tra il peso tedesco da un lato e lo scomodo alleato croato dall’altro nel tentativo di reprimere una guerriglia popolare dilagante. La tipologia delle azioni repressive italiane mostrò la sostanziale debolezza delle forze di occupazione, amplificata dalla ben nota scarsità di materiale bellico. Su questo contesto, caratterizzato da una limitata selezione di memorialistica specifica e dalla scarsità di fonti archivistiche, l’autore conduce la sua ricerca sull’occupazione balcanica da parte dei squadristi della MVSN.
Se da un lato la Milizia si adoperò per sollecitare il volontariato, le forze armate tradizionali temendo un depauperamento delle classi di leva cercarono in vario modo di scoraggiarlo e renderlo il più difficile possibile. I primi reparti volontari si formarono a Milano e a Firenze nel gennaio del 41 con una risposta generalmente tiepida alla chiamata, vista l’età avanzata di molti volontari. Una situazione analoga si verificò l’anno successivo con la seconda ondata di volontari, mobilitati a causa delle condizioni belliche completamente mutate, con un movimento resistenziale rafforzatosi di giorno in giorno. Questo portò all’esasperazione da parte dell’impianto occupatorio italiano che condusse ad un’escalation di violenza attuata attraverso continui ordini repressivi, di cui ne fu emblema la tristemente nota “testa per dente” del generale Roatta. Un crescendo di rastrellamenti e di esecuzioni che culminarono con episodi di crudeltà inaudita come la strage di Villa del Nevoso dove gli squadristi diedero alle fiamme intere frazioni del paese. La gestione del territorio appariva sempre più difficoltosa da parte dell’esercito e degli squadristi delegati al controllo dell’ordine pubblico, perché a partire dalla seconda metà del 1942 l’attività dei partigiani si rivolse sempre più contro le infrastrutture e gli approvvigionamenti, minando di fatto le milizie italiane già provate dalla cronica scarsità di uomini e mezzi e dalle continue operazioni di ricerca dei ribelli condotte affrontando condizioni meteo proibitive. La situazione volse al definitivo peggioramento già all’inizio del 1943, quando in tutti i settori balcanici occupati da esercito e squadristi cominciò una nuova fase di recrudescenza del fenomeno partigiano al quale la violenta risposta degli squadristi, ben lontana dal sortire gli effetti desiderati, esacerbò ulteriormente l’opposizione nei confronti delle autorità italiane giocando a favore della propaganda comunista. Ormai sfibrati da lunghi e gravosi mesi trascorsi al fronte, nel maggio del 1943 si completava il rientro in Penisola dei 6 battaglioni di squadristi impiegati nella regione balcanica. Utilizzati nei servizi ordinari e di addestramento, nel corso di pochi mesi vennero ridotti in organico e pur con alcune eccezioni alla fine di agosto i militi vennero trasferiti ad altri reparti o per la quasi totalità, congedati.
Alessio Pizziconi