L’indagine storica del libro, che intende coprire il decennio che va dalla proclamazione dell’unità d’Italia alla proclamazione di Roma capitale del Regno italiano, si articola essenzialmente sulla rilettura degli articoli dei giornali dell’epoca che, in maniera ponderata ed attenta, intendevano offrire una succinta sinossi di quel che pensava e andava rielaborando l’opinione pubblica.
I quotidiani del tempo comprendevano “Il Pungolo”, “Gazzetta del Popolo”, “Gazzetta d’Italia”, “L’opinione”, “Il Diritto”, “La Nazione”, “La Riforma”, “Gazzetta di Torino” e il “Giornale di Roma”. Essi riportavano anche, in lingua italiana, alcuni passi della stampa straniera come l’”Independance belge”, il “Presse” parigino, il “Times” di Londra. Nella trattazione non sono mancati accenni della stampa di opposizione come “Civiltà cattolica” e “Unità cattolica” e preziosi spunti di numerose riviste satiriche e umoristiche illustrate, come “Il Diavolo zoppo”, oppure “Il Fischietto”, “Il Buonumore”, “La Strega”, “Don Pirlone”, “La Vespa” e “L’Arlecchino”. Quello che comunque sembra essere in quel fatidico decennio l’ossessione di tutti ed il tema dominante, al di sopra di ogni altro evento, era la “Questione Romana”, talmente importante ed invasiva che seppellì letteralmente tutti gli altri avvenimenti cruciali come la terza guerra d’Indipendenza del 1866 e la campagna dell’Agro romano del 1867.
La destra non voleva approfittare delle sciagure in cui versava la Francia e il suo Imperatore, anche per assecondare la linea politica del Re Vittorio Emanuele II che, proprio grazie a Napoleone III, vedrà, di lì a poco, suo figlio minore Amedeo, duca d’Aosta, cingere la corona del reame di Spagna, con il nome di Amedeo I. Al contrario la sinistra, tipicamente più impulsiva, premeva per la risoluzione della questione romana in maniera più sbrigativa, con un azione militare, semplice e fulminea, in modo che il governo si potesse presentare all’eventuale Congresso europeo, a seguito della pace franco-prussiana, a cose fatte, ed invocare il diritto dell’uti possidetis, cioè il diritto dello status conseguito.
I più prestigiosi personaggi del nostro Risorgimento, proprio in quel secondo semestre del 1870, discuteranno appassionatamente sulla questione romana e, andando a rileggere i loro interventi negli atti parlamentari, potremmo senz’altro comprendere meglio le tessere di un delicatissimo mosaico europeo che si andava configurando.
Nella realtà dei fatti la questione romana non era niente affatto semplice, perché una invasione militare dell’Urbe avrebbe comportato un’usurpazione ai danni di uno Stato di diritto, riconosciuto in tutto il mondo; come sarebbe stata accettata l’invasione armata dello Stato, guida di tutto il cattolicesimo e riferimento assoluto di tutta la cristianità? Durante i vari secoli di sopravvivenza della Santa Sede, il Papa ha trovato sempre una potenza straniera che ha difeso il suo potere temporale. Ne conseguì una radicale posizione di chiusura.
Non è possibile la coesistenza di due sovranità: questa la base della rivendicazione della sovranità temporale. Da quando Roma fu riconosciuta quale sede del romano Pontefice, nessun sovrano si era mai arrogato il diritto di farne la capitale del proprio regno, anche se fu più di una volta messa a ferro e fuoco e saccheggiata. Allora come sarà possibile la coesistenza in Roma di due Sovrani? Due Sovrani nella stessa reggia, pretendenti entrambi alla medesima sovranità! Così argomentava da anni tutta la pubblicistica cattolica.
Nel 1870, distrutto il secondo impero francese, il papa rimase solo. Ricordiamo la Repubblica romana del 1849; a difendere il papa intervennero armate appartenenti addirittura a quattro diverse nazionalità: francese, austriaca, spagnola e borbonica. Invece, nel 1870, la Santa Sede si trovò abbandonata nella propria desolante solitudine diplomatica; di tutti gli stati che un tempo avevano aiutato il pontefice, la Francia si ritrovava malconcia dopo i primi scontri armati con la Prussia, l’Austria doveva ancora rimettersi dai disastri derivanti dalla sconfitta nella guerra austro-prussiana, lo stato borbonico non esisteva più e la Spagna era sconquassata da seri problemi economici e dinastici. A questo punto accadde l’inevitabile, perché il Regno d’Italia aveva disperato bisogno della sua capitale e trionfò il sacrosanto principio del diritto dei Popoli.
Quel che avvenne nel 1870, conclude l’autore, doveva comunque succedere e, dopo gli orrori della Prima guerra mondiale, crollati tutti gli imperi dinastici, il principio di nazionalità e del diritto dei popoli ebbe la sua ampia applicazione. Certamente per la Santa Sede tutto poteva accadere in tempi e modi diversi, tramite estenuanti trattative diplomatiche ed evitando insanabili incomprensioni che parzialmente a tutt’oggi persistono, ma la Storia non si articola con i “se” e con i “ma”, né si può accettare il principio che il “reale è razionale”.
Gianfranco Paris