La nostra Associazione fa parte del Comitato costituito a Perugia per le onoranze a Mario Angeloni (1896-1936) ed è stata rappresentata dalla presidente nazionale al Convegno svoltosi nel capoluogo umbro il 2 dicembre 2016. Dal suo intervento è tratto questo profilo di Angeloni, primo volontario italiano caduto in combattimento per la Repubblica nella Guerra di Spagna.
Mario Angeloni non è stato un teorico, e non ha nemmeno lasciato diari e libri. Per trovare traccia scritta su di lui bisogna aspettare le prime commemorazioni: quella di Randolfo Pacciardi nel 1944, di Leo Valiani nel 1978, lo stesso anno del libro di memorie della moglie Giaele, di Umberto Calosso, poi l’importante numero del “Nuovo Archivio Trimestrale” del 1987, con la testimonianza di Giuliano Vassalli, lo zio di Mario, nel cinquantenario della morte. Gli studi sull’emigrazione politica, che si sviluppano dalla fine degli anni ’70, parlano di lui. Vi è da chiedersi se le formazioni politiche operanti all’estero, la loro storia, i loro eroi, non siano state in qualche modo oscurate dai partiti ricostituitisi in Italia e dalla storia presto imbalsamata della Resistenza.
Mario è un precursore ma è anche un erede.
Chi va a vedere nell’archivio della Prefettura di Perugia trova il non frequente abbinamento nei controlli di polizia del padre e del figlio. Publio Angeloni è indiziato dal 1897, quando il figlio Mario è appena nato, e dal 1895 è nato anche il Partito Repubblicano Italiano, del quale Publio è subito attivista. S’inaugura in quegli anni il monumento a Garibaldi a Roma, la colonna alla Breccia di Porta Pia, il monumento a Garibaldi a Milano. Tutte occasioni per una pericolosa agitazione di mazziniani, garibaldini, gente del libero pensiero.
Se vogliamo un ritratto del giovane Mario, lo fornisce, perfetto, nel 1927 la stessa Prefettura di Perugia, quando anche Mario è seguito dalla polizia per la sua attività in campo repubblicano. “Tipo pericoloso per impulsività, temerarietà, ambizione e disponibilità di mezzi, si rende maggiormente pericoloso per la cultura di cui è fornito, e per la professione di avvocato che esercita “. In sostanza, un elogio.
Il giovane si può dire repubblicano di nascita. Gli eventi del dopoguerra hanno fatto maturare la sua scelta ideale, individuando nella monarchia un’istituzione nella quale non si può confidare per garantire le libertà, un’alleata del fascismo. Ci vorranno quasi venti anni perché gli italiani esprimano questo sentimento in occasione del referendum del 2 giugno 1946, e nemmeno con una schiacciante maggioranza. Del resto lo stesso Mario non immedesimava tutto il suo essere repubblicano nel solo atteggiamento ostile alla monarchia. Oltre a crescere nel Partito, Mario cresce anche nella Massoneria. Questa impregnazione giovanile può spiegare la volontà di azione, l’interventismo di Mario, molto ispirato al modello garibaldino. Molti garibaldini sono perugini e toscani.
I tratti del volontarismo garibaldino si ritrovano nel desiderio di Mario Angeloni di andare a combattere a rischio della propria vita, come fu il caso di Bruno Garibaldi, espostosi in camicia rossa al fuoco nemico alla prima occasione, e di Lamberto Duranti, l’anconetano che parte anche lui da Perugia e muore nei primi combattimenti.
Diversi volontari del 1914 potevano narrare anche del loro impegno in Grecia nel 1911-1912. Fu là che si formò la classe dirigente repubblicana: c’erano Chiostergi, Chiesa, Ghisleri; il martire fu un repubblicano, Antonio Fratti.
L’impulso è per il gesto decisivo, che forza la situazione politica. Anche la Legione garibaldina dell’Argonna voleva essere una forza d’intervento puramente italiana, e, infatti, fu così anche quando dovette rassegnarsi a entrare nella Legione straniera fiancheggiatrice dell’Esercito francese. In questo la guerra condotta dal “Battaglione Garibaldi” di Randolfo Pacciardi, anche se immerso in un Esercito internazionale, fu diversa, proprio perché il seme era stato gettato per un “oggi in Spagna domani in Italia” grazie alla colonna RosselliAngeloni.
Chi sa quanti insegnamenti i racconti di storia recente e di sapore risorgimentale che correvano a Perugia in quegli anni hanno dato alla giovinezza del nostro Mario, che nel 1914 ha 18 anni.
Non stupisce che parta volontario nel 1915, con il grado di sottotenente di cavalleria. Finisce la guerra da Ufficiale, riceve numerosi encomi e una Medaglia d’Argento al V.M. La formazione militare, oltre che a forgiare il suo carattere, sarà sempre presente nella sua vita, e gli è subito riconosciuta, in Spagna, nell’organizzare in modo fulmineo una colonna sparuta di uomini, che si devono conquistare da soli una vaga divisa, e rendere funzionali strane armi. In questo Mario è simile non tanto ai garibaldini quanto a Garibaldi stesso, che ebbe nelle virtù organizzative, dovute anche al carisma, il suo vero tratto di genio.
Gli anni successivi sono anni di preparazione all’azione. Continua gli studi dopo la guerra, fa il tirocinio a Roma con illustri avvocati. Collabora con lo studio del padre e partecipa ai moti antifascisti dell’Umbria.
Sposa Giaele Franchini nel luglio 1921. Famiglia repubblicana, padre ultimo sindaco repubblicano di Cesena. Attacchi e aggressioni si moltiplicano contro i repubblicani. Mario si occupa dell’organizzazione clandestina del partito, viene arrestato il 26 novembre 1926, è mandato al confino a Lipari. Entra così a fare parte di quell’elite di confinati poi fuorusciti che incontrandosi e condivendo le varie sedi di prigionia, vengono a costituire il nucleo dirigente dell’antifascismo all’estero. E’ indubbio che abbiano avuto influenza l’uno sull’altro. Rappresentano per età almeno due generazioni d’italiani. Se quegli uomini, relativamente pochi, saranno poi quelli che rappresenteranno la prima Italia rinata alla libertà, nel 1943, sarà perché avranno saputo mettere al di sopra della divisione di parte l’unità nell’antifascismo, linea di Angeloni. Si uniscono attorno al concetto di democrazia e di libertà che li affratella tutti, e nell’idea di un’Europa ispirata al pacifismo e all’internazionalismo.
Intanto si sono susseguiti per Mario e per Giaele i mesi di segregazione, il processo al Tribunale Militare di Palermo, la prigionia a Salerno, a Ponza. Arriva l’amnistia concessa ai combattenti della Grande Guerra: Mussolini non teme più gli sparuti rappresentanti di un passato cancellato con la forza o col tempo. La coppia può tornare a Roma poi a Cesena.
Il Regime sembra invincibile, l’Italia negli anni ’30 è conosciuta come quella del consenso interno e internazionale. I fuorusciti sono ridotti, a leggere la stampa nazionale, a pochi individui senza molti contatti con gli antifascisti in patria, i quali, in effetti, sono ridotti a tacere, buongrado o malgrado. Dagli anni 1932-1934, gli archivi della Polizia fascista cominciano a non fornire che scarsa documentazione sui fuorusciti, si rallenta la tensione verso chi ha spesso iniziato a vivere stabilmente all’estero con la famiglia.
A Parigi Mario e Giaele trovano un forte nucleo antifascista: Trentin, Buozzi, Treves, Turati, Pertini, Donati. Gli Angeloni arrivano tra gli ultimi. Vivono in semi povertà, come tutti.
Mario mantiene i contatti con i repubblicani in patria, ma si convince che l’azione può maturare solo all’estero, nell’attesa, lontano dai controlli del regime e da un popolo che sembra essersi arreso.
Ferve l’azione, sostenuta da quella della LIDU, fondata nel 1922 da Luigi Campolonghi e Alceste de Ambris. E’ un’organizzazione che offre assistenza ai rifugiati di tutte le correnti politiche: questa azione benefica li tiene uniti, con un’opera eminentemente unitaria ma non fusionista. I fuorusciti potrebbero formare un Governo ombra, ma non sono rappresentativi dell’opposizione antifascista: rappresentano solo l’area laica e moderata. Hanno bisogno di una prova di forza. Quando torneranno, nel 1943, i dirigenti dei partiti che hanno lasciato l’Italia nel 1925 o poco dopo, saranno pochi e anziani, ma avranno un passato nella Resistenza grazie alla guerra di Spagna, e saranno legittimati, rispetto alla guerra partigiana, a entrare nei CLN.
Con atto costitutivo firmato il 17 agosto da Rosselli, Mario Angeloni, Umberto Calosso e Camillo Berneri, prende vita la “Colonna italiana”, formazione di circa centocinquanta antifascisti italiani di ogni fede politica, impiegata sul fronte d’Aragona. Il comando militare della Colonna è affidato ad Angeloni e a Rosselli. Berneri rappresenta gli anarchici. Il 28 agosto nella battaglia di Monte Pelato i franchisti vengono respinti ma si registrano molti caduti fra gli italiani, fra i quali Angeloni, mentre Rosselli è ferito.
La Colonna italiana significa rivendicare la lotta al fascismo in Italia, non confusa in un internazionalismo dominato da forze politiche maggiori. Per rientrare nella vicenda italiana lasciata da tempo, era necessaria un’azione specificamente italiana. L’impulso è di Carlo Rosselli. Bisogna forzare l’equilibrio europeo, la prudenza dei Governi, e fare arrivare gli italiani prima degli altri in Spagna per non confondere la lotta al fascismo spagnolo con la lotta degli italiani contro il loro fascismo.
Mario si distingue per il gusto irrefrenabile dell’azione, ed anche il senso dell’ordine, dell’organizzazione, la scelta accurata degli uomini e della loro collocazione. Insomma un vero ufficiale, come testimonia Giuliano Vassalli in “Mario Angeloni nel cinquantenario della morte” (Nuovo Archivio Trimestrale, 1987):
“Contava soltanto impugnare le armi per la libertà. E così si vide il brillante e elegante ufficiale di cavalleria vestire la divisa di miliziano ed affiancarsi agli antifascisti di ogni provenienza e d’ogni tendenza, insegnare agli italiani posti sotto il suo comando l’impiego degli speciali basti delle salmerie spagnole, riattivare e provare le armi a disposizione della caserma Pedralbes di Barcellona, organizzare le compagnie di fucilieri e mitraglieri e partire pochi giorni dopo per il fronte d’Aragona contro il nemico”… “ Mario Angeloni era venuto in Spagna con grandi idee di vittoria e di gloria italiana e col proposito di partire subito per il fronte aragonese, e con pochi uomini e nessuna garanzia, pur di alzare senza indugi il tricolore: idea cui Rosselli ed io stesso reagimmo a ragione, perché in questa volontà di Angeloni c’è già la morte.”
La tensione alla morte come martirio è risorgimentale, ma è anche nell’animo dell’uomo che vuole fare dono di sé ad una causa. E’ difficile da capirsi da parte di un uomo bello, giovane, ricco, amato. E fa un po’ invidia…