Pasquale DONNARUMMA, “P come prigioniero”

Pasquale DONNARUMMA, “P come prigioniero”

“Il campo di concentramento numero 188 di Tambov è una ferita che sanguina ancora. Era una malefica macchia in un bosco nella foresta di Rada, a circa 450 chilometri da Mosca… Tambov era la sintesi di tutto il male, una modificazione genetica che riprogrammava l’essere umano nell’archetipo di sé stesso… Tambov era un formicaio, un centinaio di baracche interrate, bunker sotterranei dove vivano senza luce, senza acqua e senza niente di niente, quelli che si faceva fatica a chiamare esseri umani”. Quando P e gli altri ne varcarono la soglia di prigionieri ce n’erano già oltre 20.000 e il campo era stato progettato per non più di 10.000 persone. Era il primo agosto del 1944 e P. si rese conto di essere in un campo di concentramento russo solo quando vide i soldati con l’uniforme dell’Unione sovietica”. Siamo solo a metà delle 312 pagine del libro di Pasquale Donnarumm P.come prigioniero, il seguito di P. come partigiano, i due libri che Pasquale Donnarumma ha dedicato alle vicende belliche del nonno, omonimo, come si usa al Sud. Una storia che comincia l’8 settembre 1943 e che finisce il 2 dicembre 1945, con il ritorno a casa, in Irpinia, del protagonista dopo due anni di battaglie, fughe, sofferenze, dopo aver visto la morte in faccia parecchie volte in Montenegro.
Sono pagine, pubblicate con il patrocinio dell’ANVRG, ispirate alle vicende di un giovane irpino, soldato della Guardia di Finanza in Montenegro che, dopo l’armistizio, ha deciso di combattere nella Divisione italiana partigiana Garibaldi, finendo poi prigioniero di guerra IMI dei nazisti e poi dell’Armata Rossa.
Altre informazioni sulla genesi dei due romanzi e sulle vicende dei soldati italiani diventati partigiani e combattenti nei Balcani occidentali sono state fornite durante l’interessante presentazione dei due volumi, il 14 ottobre scorso, a Porta San Pancrazio, nella sede del Museo della Repubblica romana e della Memoria garibaldina da parte del moderatore, Fabio Pietro Barbaro, presidente della sezione di Roma dell’ANVRG, da Andrea Spicciarelli, direttore dell’Ufficio storico dell’Associazione e dallo stesso autore. A fare gli onori di casa Mara Minasi, responsabile del Museo.
“Da quando ho approcciato l’argomento – ha detto l’autore – ho avuto l’impressione di toccare quelle atroci sofferenze che i prigionieri di guerra hanno provato in un momento così drammatico della loro storia. Quando ci penso, a volte vorrei non aver mai scoperchiato quel vaso di Pandora, e poi ripenso: ma che senso avrebbe avuto tenere gli occhi chiusi di fronte a fatti realmente accaduti e che fanno parte della storia atroce del genere umano”.
L’autore, che è nato e vive ad Avellino, oggi è un medico specialista in Neurochirurgia e Chirurgia vertebrale, ma da sempre è appassionato di letteratura e storia. Tanto appassionato da scrivere questi due romanzi di notte, durante i suoi turni di guardia, sul cellulare. Questo spiega, in parte, lo stile incalzante delle due opere, nelle quali le frasi si inseguono in periodi inframezzati solo da una punteggiatura leggera, quasi evanescente, e da dialoghi, senza virgolette, che cominciano con una lettera maiuscola. Uno stile incalzante, con pochissimi punto e a capo, alla Saramago, il Premio Nobel portoghese.
E’ una storia italiana poco conosciuta, sulla quale l’autore ha fatto ricerche lunghe e accurate, partendo da documenti e appunti, trovati nel doppiofondo del cassetto di una scrivania soltanto dopo la morte del nonno. I due libri sono anche frutto della decennale ricerca dell’autore che, nelle ultime pagine, spiega che la ricostruzione storica è stata possibile solo grazie alla consultazione di libri (citati nell’ampia bibliografia), documenti, appunti, testimonianze dirette o indirette di reduci o di loro parenti e conoscenti, lettere e fogli matricolari custoditi qua e là negli archivi dei vari apparati dello stato italiano.
Le vicende tragiche ed eroiche del soldato della Guardia di Finanza P., alias Pasquale Donnarumma (poi Cavaliere della Repubblica italiana, decorato con Croce e di guerra per attività partigiana), prendono le mosse da quando i comandanti delle divisioni Venezia e Taurinense chiedono a ognuno di fare la propria scelta circa la decisione di prendere le armi contro i nazisti. P., come tantissimi compagni d’arme sceglie la lotta partigiana e viene assegnato al VI battaglione, di stanza a Berane, nelle aspre montagne del Sangiaccato, in Montenegro. E’ l’inizio di un calvario che l’Autore racconta con efficacia narrativa non comune e che si snoda, senza soluzione di continuità, nei due libri P. di partigiano e P. di prigioniero, tra le montagne del Montenegro e i campi di concentramento di mezza Europa.
Cesare Protettì