Il ritorno in provincia (1869-1874)
di Antonello Nave
Ricorre quest’anno il 140o anniversario dalla morte di Alberto Mario, avvenuta a Lendinara il 2 giugno 1883. Per l’occasione vorremmo soffermarci sull’opera che svolse nella sua terra natale, in cui era tornato dopo vent’anni di esilio con l’amarezza per l’esito della lotta risorgimentale, ben lontano dai suoi ideali repubblicani e democratici.
Nel primo anniversario dalla scomparsa, la vedova Jessie White ne tratteggiò un ampio profilo biografico, proponendosi di dedicare in seguito più specifica attenzione a quanto compiuto da Alberto in ambito locale e provinciale.1 Non le fu data, purtroppo, l’opportunità di farlo.
Dopo l’unificazione del Veneto al regno d’Italia e l’infausta impresa di Mentana, nell’aprile del ‘69 Mario fece ritorno a Lendinara, d’intesa con Jessie, prendendo dimora nella casa di famiglia.
A segnare l’inizio della nuova vita in provincia giunse subito per Alberto l’elezione a presidente della locale “Società Operaia di mutuo soccorso”. In tale veste l’11 novembre 1869, alla premiazione dei migliori allievi delle scuole tecniche cittadine, pronunciò un discorso che si concludeva con un invito: «Cercate l’utile, ecco la professione; cercate il vero, ecco la scienza; cercate il buono, ecco la morale; cercate il bello, ecco l’ideale, ecco la poesia, ecco la vita».2
Di lì a qualche mese, come presidente del sodalizio, che si fregiava della presidenza onoraria di Garibaldi, rispose con un telegramma di rifiuto all’invito del sindaco a prender parte ai festeggamenti per il compleanno del re.
Nel nuovo soggiorno lendinarese egli portò tempestivamente a compimento un saggio su Carlo Cattaneo, in omaggio alla sua memoria e come primo contributo di riflessione sulla sua visione politica in chiave federalista.3 Nel 1870 Mario diede anche alle stampe la prima edizione italiana della Camicia rossa (apparsa cinque anni prima in inglese), che resta una delle opere più significative della letteratura garibaldina.4 Nell’autunno di quello stesso anno entrò nel consiglio comunale di Lendinara, dove avrebbe svolto un’instancabile attività di controllo e di contrasto nei riguardi della maggioranza clerico-moderata.
Un’eco di quelle schermaglie resta nei periodici locali: da una parte le corrispondenze del «Veneto cattolico» su presunte nefandezze degli anticlericali ai danni di parroci e devoti, dall’altra la «Voce del Polesine» che stigmatizzava lo strapotere del clero e della “consorteria” locale. E se gli uni gridavano allo scandalo in occasione dei primi funerali in forma civile e facevano del sarcasmo nei confronti di “qualche garibaldesca sublimità”, sul fronte opposto si dava notizia della lotta condotta dal combattivo gruppo di repubblicani, raccolti intorno ad Alberto e alla stessa Jessie, che da poco era tronata in paese dopo aver preso parte con Garibaldi alla generosa impresa delle camicie rosse in Francia.
«Per darvi un’idea dello spirito di provincia nella Venezia, vi farò una macchietta di Lendinara ove ho il mio nido»: così comincia La fiera di Lendinara, apparsa nel gennaio 1872 in appendice al «Corriere Veneto», il nuovo quotidiano padovano che si proponeva di coordinare la lotta di radicali e repubblicani contro la “consorteria” clerico-liberale. Alberto aveva iniziato a scrivere tempo addietro quelle pagine di brioso e a tratti sarcastico spirito anticlericale, con il proposito, poi accantonato, di farne un romanzo in collaborazione con Jessie, a metà tra osservazione sociologica e satira di carattere politico-morale. Mario tratteggiò con ironia (e a tratti con malcelato disprezzo) la folla di devoti, ciarlatani, questuanti e piccoli commercianti che annualmente si ritrovavano in settembre a Lendinara per la festa della Madonna del Pilastrello, invocando guarigioni con offerte e abluzioni.
Malgrado la desolata realtà descritta, Alberto dichiarava piena fiducia nei giovani di Lendinara, che avevano dato un generoso contributo alla causa risorgimentale: «Vi si annidano conservatori e higotti a squadre. Ma l’arcangelo dei nuovi tempi baciò in fronte le due ultime generazioni le quali, sotto la crosta clericale formata dai padri e dai nonni, si nutrono alle mammelle della democrazia e si educano alla sana irreligione».5
Ecco perché la lotta politica e culturale di Mario, ritornato in provincia, si concentrò sull’istruzione e nel ruolo di delegato scolastico contrastò apertamente parroci e istituti religiosi.
Al suo fianco, tra gli altri, l’ingegnere Carlo Baccaglini, che così sintetizzerà l’opera svolta da Alberto in una lettera a Jessie: «Si adoperò attivamente e proficuamente perchè i padri Cavanis fossero snidati dal loro covo, e il Comune se ne impadronisse per le Scuole […] e fu merito precipuo d’Alberto, coadiuvato da me, se l’insegnamento religioso nelle scuole elementari del distretto da obbligatorio fu ridotto facoltativo a tenore della legge, per cui nelle nostre scuole, esempio raro in tutta Italia, non s’insegna né molto né poco religione, almeno in Lendinara».6
E quando il 20 aprile 1872 il nuovo vescovo della diocesi, il dalmata Emmanuele Kaubeck, fece la sua prima visita pastorale a Lendinara, sui muri del paese fu accolto da manifesti zeppi di altisonanti e parodistici encomi da parte di imprecisati “austro-cattolici”, che rimpiangevano i bei tempi dell’oscurantismo e dell’oppressione asburgica: «Allora il prete santamente spiava, il magistrato fedelmente condannava, il boia esattamente impiccava. La benemerita famiglia dei gesuiti spezzava il pane della santa ignoranza nelle scuole ai giovinetti el’angolo anteriore del loro cranio, per accurata compressione digitale, non toccava mai quel grado che lo fa capace d’idee innovatrici, pericolose e sovversive».7
Da consigliere comunale appoggiò il progetto di un nuovo ponte sull’Adige per garantire il diretto collegamento di Lendinara con il padovano e scrisse dei vantaggi economici che ne avrebbe tratto il Polesine dall’auspicata linea ferroviaria Rovigo-Chioggia.
A nome della Società Operaia di Lendinara in giugno invitò Quirico Filipanti, già docente di idraulica a Bologna, al fine di illustrare la tecnica da lui messa a punto per scongiurare o fronteggiare le rotte fluviali. Jessie si premurò di raccogliere sottoscrizioni e offerte per la serata a carattere filantropico.
Alberto era stato appena chiamato a dirigere «La Provincia di Mantova», un nuovo quotidiano fondato da reduci garibaldini e mazziniani.8 L’incarico gli permise di riprendere la riflessione su tematiche politiche di carattere nazionale, in vista del concreto tentativo che in quell’estate fu fatto di dare organicità di programma alle molteplici voci del radicalismo democratico, nel suo problematico rapporto con l’internazionalismo socialista e il graduale diffondersi delle sue pratiche di lotta.9
La necessità di coesione era stata lucidamente indicata dallo stesso Garibaldi nella lettera del 29 luglio ad Aurelio Saffi, con apprezzamento per la ricerca di un “accordo potente nella democrazia”, sia in quella a carattere programmatico del 2 agosto.10
Senza venir meno ai suoi convincimenti di repubblicano federalista e anti-internazionalista, Mario svolse un ruolo di primo piano nella ricerca di tale accordo, come membro del comitato promotore della «Lega democratica del Veneto» e come presidente dell’adunanza costitutiva, tenutasi il 17 novembre 1872 a Padova.11
Accanto agli impegni nella pubblicistica politica nazionale e malgrado il peggioramento delle condizioni di salute (di cui Bertani e Jessie avevano deciso di tenergli nascosta l’infausta diagnosi), Alberto non trascurò le vicende lendinaresi: scrisse, ad esempio, sulla necessità di un nuovo cimitero comunale e auspicò l’effettiva soppressione delle corporazioni religiose. Denunciò in consiglio comunale e all’autorità prefettizia la vendita illecita di un prezioso merletto da parte del parroco di S. Sofia ai Guggenheim di Venezia, ottenendone il sequestro e la restituzione.12
Nel marzo 1873, come esponente della «Lega Veneta dei Democratici», insieme a Cesare Parenzo convocò amici e sodali a Rovigo, per porre le basi di un’efficace azione politica in vista delle elezioni provinciali di luglio.13 Da quella tornata elettorale Alberto uscì vittorioso, come rappresentante del distretto di Polesella.
Nel maggio del ‘74, nella duplice veste di consigliere comunale e di vice-presidente della Deputazione provinciale, Mario si appellò al prefetto per ottenere finalmente l’apertura al pubblico, in locali idonei, della biblioteca comunale di Lendinara, sorta quarant’anni prima grazie al lascito testamentario di don Gaetano Baccari.14
Fu il suo ultimo atto come consigliere comunale. In luglio declinò l’invito a ricandidarsi e si accinse a sottoporsi al quarto intervento al labbro, sempre a opera dell’amico Agostino Bertani. La circostanza rese impossibile per entrambi di accogliere l’invito di Aurelio Saffi a una riunione di repubblicani a Rimini, così che non furono tra gli arrestati di Villa Ruffi. Ma per Mario la repressione governativa scattò egualmente, per un presunto e pretestuoso reato di stampa: «Bertani parti ordinando all’operato il solito mese di astensione dal parlare, dal masticare, dal ridere. Pochi giorni dopo, nei giorni stessi degli arresti di Villa Ruffi, delegati, birri e carabinieri invadono la casa per trarre in arresto, e a Torino, Mario. Egli si sarebbe arreso se non mi fossi opposta io. Passa il giorno in telegrammi. Bertani ne spedi ben dieci a noi, ai ministri, agli amici, e ottenne prima l’arresto in casa, sorvegliato a vista dai carabinieri, poi il processo a piede libero colla cauzione di 5000 lire».15 L’istruttoria processuale si concluse il 13 ottobre a Torino con la sentenza di non luogo a procedere.
1J. White Mario, Della vita di Alberto Mario. Memorie, in A. Mario, Scritti letterari e artistici, a cura di G. Carducci, Bologna, N. Zanichelli, 1884, pp. CLXIX-CLXX.
2A. Mario, La scienza applicata alle arti industriali, Lendinara, L. Buffetti, 1869, p. 15.
3Id., La mente di Carlo Cattaneo, Firenze, Tip. Dell’Associazione, 1870 ((estr. da «Rivista Europea»).
4Id., La camicia rossa. Episodi, Torino, A. F. Negro, 1870 (The red shirt. Episodes, London, Smith, Elder and Co., 1865).
5Id., La fiera di Lendinara, in Scritti, cit., p. 17.
6White Mario, Della vita, cit., p. CLXX. Cfr. L’istruzione religiosa nelle scuole, «Il Bacchiglione», 5 febbraio 1874.
7Ivi, 5 maggio 1872.
8L. Gualtieri, Al grido della Libertà. Giuseppe Garibaldi nella stampa mantovana 1866-1882, Mantova, Istituto mantovano di storia contemporanea, 2008, p. 7.
9Nell’agosto 1872 a Venezia uscì il primo numero della «Veneta Democrazia», che sostenne le rivendicazioni e gli scioperi dei lavoratori in città e fu apertamente osteggiato dai radicali del «Corriere Veneto».
10Il programma di Garibaldi,«Corriere Veneto», 16 agosto 1872.
11Adunanza democratica, «Il Bacchiglione», 21 novembre 1872. Cfr. «Corriere Veneto» del 18 novembre: «noi giornalisti “aristocratici” non siamo stati invitati: non ci sono note le deliberazioni, ma pare che qualcuno abbia proposto la decadenza di casa Savoia: tra 200 persone uno sproposito è comprensibile».
12Il pizzo di Lendinara, «Il Bacchiglione», 3 novembre 1872.
13«Voce del Polesine», 14 marzo 1873. Cfr. A. Mario-C. Tivaroni, La democrazia veneta a Garibaldi, «La Provincia di Mantova», 22 aprile 1873; Lega Democratica Veneto-Mantovana, «Il Bacchiglione», 29 marzo 1874.
14La biblioteca di Lendinara, «La Voce del Polesine», 22 maggio 1874.
15J. White Mario, Agostino Bertani e i suoi tempi. II, Firenze, G. Barbera, 1888, p. 362.