Il titolo di questo volume, evocativo ed emblematico, descrive in estrema sintesi la vita di Luigi Cavalli. Per usare una definizione dei Reduci garibaldini di Vicenza, un “uomo egregio che unicamente per virtù propria salì da umile condizione ai massimi onori cui può aspirare un cittadino”. Il patriota vicentino infatti, figlio illegittimo del conte Francesco Arrigoni e della popolana Lucia Pedon, fin dall’infanzia deve fare i conti con questa sua condizione. In un’epoca dove, come sottolinea Giovanna Da Molin “sopravvivere per l’infante abbandonato era un caso fortuito, morire la norma”, Luigi Cavalli cresce in brefotrofio e frequenta le scuole grazie a qualche scrupolo di coscienza del padre naturale e del padrino Gaetano Costantini che contribuiscono al suo mantenimento. Si iscrive all’università ma è costretto ad interromperla perché sente il richiamo della Patria e nel 1859 non esita a combattere nelle guerre di indipendenza.
Determinante in questa scelta, sia il fervore patriottico diffuso allora tra gli studenti, ma soprattutto l’incontro con il padrino, in quanto più tardi egli stesso dichiarerà di aver appreso da lui come si dovesse amare e servire l’Italia. In lui agiscono inoltre una forte componente ideale e un radicato senso del dovere. Cavalli arriverà addirittura a far parte dei Mille, imbarcandosi a Quarto all’insaputa della madre che lo immagina chino sui libri. I suoi pensieri continuano infatti ad essere concentrati sulla lotta per l’indipendenza nazionale, soprattutto dopo la delusione seguita all’armistizio di Villafranca. Dopo la trionfale impresa garibaldina, Cavalli decide di tornare ai suoi studi, pronto ad abbandonarli alla prima chiamata di Garibaldi, dopo aver avuto modo di conoscerlo personalmente.
Nel 1861 si laurea in giurisprudenza a Pavia, comincia anche il praticantato ma la patria continua ad occupare il primo posto nella sua vita, anche fuori dai campi di battaglia. Nel 1862 il Governo gli conferisce la medaglia d’argento al valor militare e un assegno vitalizio di 100 franchi annui. In quel periodo Cavalli si trova a Milano per seguire il praticantato e nel frattempo frequenta gli uomini del movimento mazziniano e garibaldino, pronto a partire alla prima occasione. Questa si presenta con la Terza guerra di Indipendenza, e anche lì ritroviamo Cavalli nella battaglia di Bezzecca, l’unico successo italiano in questo conflitto. Nel ritorno alla vita civile, a Vicenza, sperimenterà quello che hanno provato migliaia di patrioti reduci: una forte disillusione, non ricevendo alcun onore dai concittadini. Tutto questo non lo farà mai allontanare dalla fede nei propri ideali, e Cavalli continuerà a partecipare alla vita pubblica mettendo al servizio la sua competenza e la sua integrità, prima nell’associazionismo, e poi, tra le fila della corrente democratica dei liberali, nel consiglio comunale di Vicenza dove siederà ininterrottamente per un trentennio, in quanto il suo nome è considerato una garanzia di operosità e di esperienza.
Cavalli è attivo in ogni ramo della vita cittadina, ricopre più volte la carica di assessore ed è membro di diverse commissioni. Nel suo lavoro è preciso, dotato di un forte senso del dovere, attento alle regole fino alla puntigliosità, ed è fermo e determinato nella difesa delle proprie idee. In particolare, come ex garibaldino, è sensibile a tutto quello che riguarda la patria, quella patria per cui aveva combattuto più volte. Nel sociale, l’incarico che lo impegnerà di più sarà quello di amministratore del Monte di Pietà, un istituto il cui scopo principale era quello di aiutare i poveri che non avevano modo di accedere al credito. Nel 1876, l’anno della rivoluzione parlamentare e della salita al potere della Sinistra, Cavalli partecipa non come attore sulla scena elettorale ma come regista che opera dietro le quinte. Nel 1883 viene eletto in Parlamento come deputato per il collegio di Vicenza. Fondamentale sarà il rapporto che lo lega a Zanardelli. Nel 1888 risulta ricoprire almeno una quindicina di cariche nelle istituzioni vicentine. Siederà anche tra i banchi del Senato, e pur partecipando attivamente alla vita parlamentare, i suoi interventi saranno sempre brevi e diretti.
Nel clima rovente dei mesi che precedono il primo conflitto mondiale, lo troviamo tra le file degli interventisti: nonostante l’età, avrebbe preferito partecipare attivamente al conflitto, ma offre lo stesso la propria opera all’interno dei comitati civici. Nell’anno del suo ottantesimo compleanno, il re lo nomina Grande Ufficiale della Corona d’Italia. Sorprende il fatto che siffatta onorificenza giunga così tardi, ma sembra che Cavalli avesse sempre rifiutato simili riconoscimenti e che fosse solito ripetere che a lui bastava essere uno dei Mille. Di dichiarata fede irredentista, anche lui subirà una forte delusione a seguito della Conferenza di Parigi. Negli anni del dopoguerra, non vi sono fonti dirette che possano attestare la sua adesione al movimento fascista. L’unico punto di contatto avrebbe potuto essere la difesa della patria contro il pericolo di una deriva rivoluzionaria. Luigi Cavalli rimane invece fedele ai valori democratici e nel 1921 aderisce al Partito liberale fino alla morte, nel 1924.
La sua storia è peculiare perché nel corso della sua lunga esistenza vive in prima persona e in maniera assolutamente attiva le varie fasi della storia d’Italia dalla metà dell’Ottocento al primo ventennio del Novecento. Per questo venne definito in occasione del suo ottantesimo compleanno, nel 1919, “un documento vivo di storia contemporanea della grande Patria”.
Alessio Pizziconi