A Milano, il 24 ottobre 2017, mi fu dato di partecipare come relatore al convegno indetto per ricordare Arturo Colombo, amico e maestro, organizzato presso la sede della Società Umanitaria che ha diretto per molti anni e davanti ad una sala affollata di amici, colleghi, allievi suoi e dalla sua famiglia che aveva voluto così premiare la nostra amicizia. Il tema della mia relazione era “Arturo Colombo educatore civile. Dall’insegnamento di Riccardo Bauer alla testimonianza per Sante Garibaldi.”
Mentre si avvicina il quinto anniversario della sua scomparsa, avvenuta il 6 giugno 2016 – aveva 81 anni – lo ricordo ai nostri soci e lettori con il mio intervento al convegno, e colgo l’occasione per ringraziare il Museo del Risorgimento di Bologna (la dott. Mirtide Gavelli), che conserva una camicia rossa di Riccardo Bauer avuta dalla nostra Sezione insieme all’archivio.
Cosa il prof. Colombo intendesse con “educatore civile”, lo impariamo dalla sua introduzione ad una antologia di testi di Riccardo Bauer, pubblicata nel 1996, intitolata proprio “L’itinerario di un educatore civile”. Una introduzione importante, di ben 34 pagine, attraverso la quale si raccoglie il pensiero di chi, incontrando il suo maestro, Bauer appunto, ha trovato se stesso. La lunga analisi del legame tra democrazia e libertà, l’idea di un buon governo, si contrappone con l’esperienza fatta da Bauer delle violenza, degli abusi, del disprezzo dei diritti di ogni uomo, durante il Fascismo, e delle condizioni troppo formali nelle quali rinasce la democrazia negli anni del dopoguerra.
Arturo Colombo educatore civile lui stesso, riprende e ripropone nel tempo il messaggio del maestro. Proprio sul tema dell’educatore credo che Arturo Colombo abbia trovato un legame tra i suoi interessi e la ragioni di vita di mio padre Sante Garibaldi.
Sante Garibaldi, vissuto appartato rispetto agli ambienti dell’antifascismo costituitosi a Parigi tra le due guerre, poteva essere da parte sua oggetto di qualche perplessità. Ma, scrive invece Arturo Colombo, “Starsene nel “privato”, o addirittura rinchiudersi nella propria “privacy” non ha mai voluto dire, in senso positivo, garantirsi un luogo protetto, assicurarsi un posto sicuro; ma comporta piuttosto una scelta o una costrizione negativa, perché “privato” suona “privazione” e quindi isolamento, lontananza dagli altri. Certamente lo ha intrigato la figura di un uomo che, nato con un illustre cognome, si era realizzato nella la professione, non solo come rifugio nella “privacy” appunto, ma come espressione di un altro modo di portare nella società tal cognome, quando alcuni dei suoi più prossimi parenti ne facevano un uso diverso. Ancora oggi nella lontana provincia francese dove visse il suo esilio, Sante Garibaldi è ricordato, ne ho avuto testimonianza tre anni or sono da alcuni discendenti, da coloro che lo hanno conosciuto, che hanno lavorato con lui: lo ricordano con rispetto, ammirazione, attraverso quanto hanno detto a loro, che sono della mia generazione, i loro padri. Si fece carico di tornare nell’agone della storia e dell’azione solo quando i tempi furono maturi, cioè quando scoppiò la guerra, fino al dono della vita.
Il contesto nel quale Arturo Colombo avrebbe affrontato lo studio di una personalità assieme semplice e diversa da quella degli altri antifascisti, lo si trova in un suo saggio del 1995, “Risorgimento e terza forza fra le due guerre. Mito, tradizioni, ideali” pubblicato nella rivista Il Risorgimento. Convinto che la lotta antifascista possa dirsi “secondo Risorgimento”, termini che Sante usava volentieri, avendo analizzato in questo senso il messaggio di “Giustizia e libertà”, inquadra tutti i temi che sono le matrici della sua vita, fino all’idea di costituire un esercito volontario all’estero, da affiancare agli Alleati per consentire agli italiani di partecipare alla vittoria. L’idea dell’esercito popolare volontario era, sostiene Arturo, di Ferruccio Parri, che disse a sua volta di averla tratta da Mazzini, e dalla pre-risorgimentale guerra per bande. Sollevare le forze sane della nazione era idea di molti, inquadrare il patriottismo nella tradizione del Risorgimento era dare ad una nazione allo sbando una nuova coscienza della sua storia per e del suo futuro.
Ma l’incontro tra Arturo Colombo e Sante Garibaldi ebbe diversi passaggi, anche casuali, dove io fui in qualche modo strumento della ricerca, sempre vigile, del professore, per uno studio che una figlia non può fare in prima persona. Successe a cavallo del bicentenario garibaldino del 1982, che per una di quelle coincidenze che s’incontrano nelle vicende storiche, è anche l’anno della scomparsa di Riccardo Bauer. La mia testimonianza di quell’incontro è raccontata nelle pagine che seguono.
Nel frattempo, il seme ha germogliato. Da un gruppo di docenti universitari, per la maggior parte giovani, è stato messo in cantiere un secondo volume del nostro “I Garibaldi dopo Garibaldi”, del 2005, il quale ha trattato essenzialmente della seconda generazione, quella dei figli di Garibaldi, Menotti, Ricciotti e Teresita con Stefano Canzio, con l’aggiunta, su temi precisi, dei più noti esponenti della terza generazione, Sante, Ezio, Bruno e Costante. Tre lustri dopo si vuole estendere la conoscenza a vite tutte particolari come furono quelle di tutti i figli di Ricciotti, dunque anche Giuseppe (Peppino), Ricciotti jr, Menotti Jr e le loro tre sorelle, interpreti in vario modo di una “tradizione garibaldina” talvolta oscura nella definizione anche perché ricca di sfumature ma inevitabilmente tesa, e non è contraddittorio, all’unità delle interpretazioni. Un tentativo che non ebbe successo ma che si iscrive nella storia del nostro paese, e nel travagliato percorso della sua democrazia.
Annita Garibaldi Jallet