Uno dei due russi in visita da Garibaldi, nel libro tradotto e curato da Renato Risaliti, Nikolaj Vasil’evIč Berg può definirsi un corrispondente di guerra sul territorio, anche se in seguito ai suoi scritti encomiastici sul Generale, il quale dalla nomenclatura governativa russa veniva considerato un rivoluzionario, fu soggetto a severi controlli e penalità al momento del suo rientro in Russia. Egli descrive non soltanto la figura di Garibaldi prima della battaglia di Bezzecca del 21 luglio 1866, unica vittoria della terza guerra d’Indipendenza, ma ha anche due colloqui col Generale nei quali parleranno del popolo italiano e della recente liberazione dei servi della gleba in Russia da parte dello Zar, concludendo sulla bontà dei due popoli chiamati dalla storia a grandi avvenimenti futuri. Gli articoli del corrispondente, inviato in Italia da alcune redazioni giornalistiche per comprendere cosa stesse succedendo, ci avverte l’Autore in premessa, danno una visione popolare del Risorgimento con poche differenze fra città e campagna e con la consapevolezza acquisita per gli Italiani di un percorso solidale e comune verso nuove libertà e benessere.
L’altro russo, Lev Il’jič Mečnikov, Renato Risaliti lo aveva già fatto conoscere attraverso la traduzione e pubblicazione del suo diario: Memorie di un garibaldino russo (C.I.R.V.I. Sec. ed. 2001) come soggetto partecipe delle guerre d’Indipendenza a fianco di Garibaldi sebbene, quale rifugiato politico russo, la sua prima venuta in Italia a Venezia, aveva unicamente lo scopo di formarsi quale storico dell’arte. Un personaggio che si distacca per cultura e per amore della libertà, autentico sentimento quando non ha né confini né colore politico, e del popolo italiano che anch’egli raffigura nel suo diario molto simile a quello russo, soprattutto raffrontando i servi della gleba ai contadini calabresi. E’ un combattente vero, eroe insignito di riconoscimenti garibaldini ed anche uomo di cultura. In Russia è presente in alcune riviste nelle quali firmava Lev Tolstoj, il quale dopo una crisi esistenziale aveva deciso di smettere di scrivere, ma la morte del padre di Mečnikov, alto burocrate zarista e conoscente del romanziere, gli farà riprendere la scrittura e sancirà la sua conversione al cristianesimo con il romanzo – racconto: La morte di Ivan Il’jič. A Napoli, dopo la battaglia di Capua, si porterà nella redazione dell ‘Indipendent, giornale a sostegno delle battaglie garibaldine di Alexandre Dumas padre, con il quale avrà molteplici conversazioni. A Firenze nel 1863 collaborerà con l’ala politica della Democrazia repubblicana e scriverà un articolo su La Nuova Europa di Mazzoni, Montanelli, Guerrazzi proprio sulla condizione dei servi della gleba. Avrà il garibaldino una vita difficile, esule dalla sua patria per motivi politici, estromesso dall’eredità paterna, da suo fratello Il’ja Il’jič Mečnikov, biologo e immunologo, fra l’altro premio Nobel per la medicina nel 1908, dovrà per vivere affidarsi soltanto alla propria scrittura. Autore quindi, oltre che di numerosi articoli che inviava ai suoi corrispondenti europei e russi, anche prodigo di molti saggi importanti e ponderosi.
Quindi una figura che si distaccava alquanto dal semplice corrispondente Berg, il quale è soltanto affascinato da Garibaldi, dal popolo italiano, dai paesaggi che attraversa, ma la sua prosa romantica è sempre distaccata pur essendo un osservatore curioso e preciso. Mečnikov è partecipe del moto risorgimentale italiano e ne condivide ogni passione, s’ immedesima nel popolo e nell’anelito della sua liberazione e parimenti frequenta il milieu aristocratico piuttosto che intellettuale del tempo e vive la stagione entusiasmante della Democrazia italiana come un Italiano, ma anche con le relative delusioni iniziate proprio a Napoli, quando dopo la battaglia di Capua in cui fu ferito e curato da Jessie White Mario, dovette fare i conti con l’avversione dei militari piemontesi verso i volontari garibaldini e conoscere, in occasione del pagamento del salario, l’umiliazione della burocrazia italiana già allora fiorente. In seguito ci fu anche la delusione politica messa in chiaro nella traduzione di questo libro, per la quale il garibaldino russo ripensa, verso la fine della propria esistenza, cosa sia rimasto di quegli ideali per cui aveva combattuto. Intristito nello scorgere come gli amici di un tempo “duri e puri” si fossero adattati al comodo vivere degli incarichi governativi, piuttosto che di un seggio parlamentare. Ed anche lo stesso Alberto Mario e coloro che erano restati fedeli alle consegne di un tempo, li scorgeva inutili relitti del loro presente. Inedita anche la missione segreta che Me nikov aveva il compito di portare a termine: un piroscafo doveva issare bandiera polacca nel mediterraneo per il proprio riconoscimento di nazione libera. Missione che si rivelerà poco segreta in quanto al suo arrivo a Caprera Garibaldi era informato di tutto e molto scetticamente consigliò il russo di fidarsi soltanto del livornese Sgarallino.
Un libro ricco di notizie inedite, utile non soltanto poiché illustra l’opera di una parte minoritaria sconosciuta di stranieri al servizio della libertà, i russi, i quali furono presenti a decine fra i volontari garibaldini, ma ci fa comprendere il Risorgimento italiano da un angolo di visuale inedito, oserei dire più obiettivo. Inoltre la cronaca, i diari, hanno la funzione importante di far calare lo storico ricercatore nell’ambiente, nell’humus del tempo, fonte viva di conoscenza per lo studioso. Un plauso quindi al traduttore e scopritore di queste novità che da anni lavora per un contributo originale e nuovo alla storia del nostro Risorgimento.