Enrico Serpieri garibaldino dell’industria, Atti del Convegno organizzato a Rimini il 18.12.2010, a cura di Valerio Benelli, Edizioni della Big, Rieti, 2016, pp.114
La storia di Enrico Serpieri è quella di un garibaldino eterogeneo. Garibaldini sono coloro che hanno combattuto a fianco del “Generale”, ma lo è anche chi combatte per difendere certi ideali. Enrico Serpieri lo fu sul campo di battaglia combattendo per l’indipendenza e per l’unità d’Italia, ma lo fu anche sul campo del lavoro e dell’impresa. Questo volume curato da Valerio Benelli intende ricostruirne il ritratto biografico.
Nato a Rimini il 9 novembre 1809, frequentò gli studi ginnasiali e si iscrisse alla facoltà di medicina, che dovette abbandonare dopo aver partecipato tra i volontari alla battaglia de Le Celle. Trova impiego come amministratore in una vetreria luogo di riunione dei liberali riminesi. Intorno ai ventidue anni si sposa e in seguito divenne proprietario della stessa vetreria. La situazione a Rimini era turbolenta, i patrioti riminesi erano divisi in una parte moderata e in una più risoluta: Enrico fu sempre il punto di riferimento a Rimini tra i primi. Catturato nel 1844, venne rinchiuso a San Leo poi trasferito nelle carceri a Roma dove dopo altri dieci mesi di carcere venne pronunciata la sentenza e gli fu inflitto il carcere a vita. Con la salita al pontificato di Pio IX e la successiva amnistia dell’Editto del perdono, Enrico Serpieri ottenne la grazia completa e la liberazione. Per due anni, fino al 1848, Pio IX venne acclamato come papa liberale e riformatore. Enrico era ormai uno dei capi carismatici del patriottismo romagnolo, promosso inoltre tenente della terza compagnia della Guardia Civica. Prese parte al Congresso delle Provincie superiori dello Stato e sottoscrisse il documento con cui alte personalità manifestavano l’esigenza di una Costituente. Serpieri con seimila voti venne eletto rappresentante del collegio di Forlì all’Assemblea Costituente Romana. A Roma il 5 febbraio Enrico fu tra quelli che votarono per la repubblica e l’11 la Costituente proclamò a maggioranza la Repubblica Romana. Quella forma così avanzata di governo ebbe vita breve a causa dell’attacco congiunto delle forze francesi austriache e borboniche. Alla fine del 1849 Enrico Serpieri e il primogenito Gianbattista, come molti altri esulti, si trasferirono a Genova per poi imbarcarsi verso la Sardegna dopo aver individuato possibili sviluppi industriali. Li cominciò a gestire una miniera di piombo e da carte d’archivio sappiamo come fosse tenuto sotto osservazione sia dal governo piemontese che dalla polizia austriaca. Successivamente, passò ad occuparsi della contabilità di un’azienda che produceva carbone di legna a Macomer. Dopo questa esperienza, scoprì delle discariche di scarti di fonderia di epoca romana contenenti discrete quantità di piombo e questo gli portò l’idea di estrarlo con la realizzazione di un impianto metallurgico. Venne perciò annoverato tra i fondatori della moderna metallurgia riuscendo a dare lavoro a 250 operai in un impianto, 70 in un altro. Tutto questo gli procurò notevole fama nell’isola al punto che, dopo la costituzione della Camera di Commercio di Cagliari, venne eletto primo presidente della stessa. Nel clima di euforia per l’avvenuto compimento dell’unità d’Italia, Enrico Serpieri, homo novus della società imprenditoriale sarda, diede un fattivo impulso allo sviluppo economico dell’isola. Nell’intento di abbattere l’isolazionismo che per troppo tempo aveva caratterizzato la Sardegna, fu anche fondatore del periodico politico economico Il Tirreno. A Cagliari risultò inoltre tra i fondatori della loggia Vittoria. Nel 1864 nacque il Corriere di Sardegna di cui fu uno dei fondatori e finanziatori. Nel 1865, candidandosi a Rimini, venne eletto Deputato al Parlamento. Il suo impegno proseguì nel consiglio comunale di Cagliari e nel 1869 come presidente della camera di Commercio fu invitato all’inaugurazione del Canale di Suez. Morì a Cagliari l’8 novembre 1872, solo pochi mesi dopo Giuseppe Mazzini, l’uomo che aveva orientato profondamente la sua cultura e con il quale aveva condiviso, insieme a migliaia di altri italiani, l’amore per la patria e per la sua unità.