Personalità complessa e poliedrica quella di Filippo Cordova, nato ad Aidone(En)nel 1811, di famiglia nobile discendente dal “Gran capitano” catalano Gonzalo Fernández de Cordoba: la sua vita politica attraversò tutta la vicenda prerisorgimentale e i primi anni dello stato unitario proponendosi come una delle personalità più in vista quale cultore del Diritto e dell’Economia.
Si è tornato a parlare di lui in questo periodo per la volontà del Comune di Firenze e del GOI (Grande Oriente d’Italia) di procedere al restauro del sacello mortuario nel cimitero di san Miniato al monte, in grave stato di degrado. Per l’occasione si è svolto ad Aidone, sua città natale, un convegno di studi cui ha partecipato il Procuratore della Repubblica di Siracusa, Francesco Paolo Giordano, autore di un recente volume dedicato al Cordova incentrato sull’opera giuridica e culturale che di seguito vogliamo approfondire.
Nella fase giovanile-appunto-gli fu attribuito il soprannome di “avvocato del popolo” poiché si batteva in primo luogo contro la nobiltà terriera e l’alto clero in favore dei piccoli agricoltori dell’interno dell’isola, cui la Costituzione del 1812 aveva promesso lo scorporo del latifondo.
Nominato consigliere d’intendenza a Caltanissetta, nel 1839 studiò le decime feudali in Sicilia per alcuni comuni e nel 1841 partecipò al “Congresso scientifico” a Napoli. Di fatto le sue battaglie per il riconoscimento dei diritti anti-feudali furono vinte dall’alleanza di interessi tra Decurionato borbonico e baroni, che finì per smantellare e demolire tutti gli aneliti all’equità e alla distribuzione delle terre-come scrisse il suo maggiore biografo-il Cordova-Savini, ma anche Benedetto Radice. Questa battaglia giovanile per la trasformazione del feudo siciliano in moderna attività imprenditoriale, come nella contemporanea Scozia, restò viva fino alla sua morte, come dimostrano le sue lettere al nipote Cordova-Savini, il quale, a sua volta scrisse a Crispi nel 1894 sullo stesso argomento, scongiurando l’uso della forza contro i contadini (Fasci siciliani).
Nel gennaio 1848, già espulso dall’incarico di consigliere d’intendenza, quando la Sicilia si ribellò ai Borboni, fu segretario del comitato rivoluzionario provinciale e fu eletto deputato alla “Camera dei Comuni”. Si occupò della redazione dello statuto siciliano e inserì in essa il famoso passaggio che sanciva la decadenza dal trono di Ferdinando II di Borbone appoggiando l’offerta della corona a Ferdinando di Savoia-Genova, duca di Genova, figlio del re Carlo Alberto.
Questo passaggio costituzionale sanciva anche una importante trasformazione politica che il Cordova aveva maturato in quegli stessi anni con altri intellettuali cospiratori siciliani, come Ruggero Settimo, Mariano Stabile, Michele Amari e Francesco Ferrara: si superava la teoria politica federalista d’ispirazione britannica, secondo cui i due regni, di Sicilia e di Napoli, dovevano rimanere separati, come nella contemporanea Scozia, ma sotto la stessa Corona. Dopo trent’anni d’insuccessi, questo ideale politico veniva superato da una nuova visione unitaria e non più federalista, ovvero con l’idea di un Regno italiano unitario, sostenuto dal regno sabaudo (anche se permanevano forti contraddizioni con l’ispirazione centralista di tipo franco-napoleonica, assai evidente nel costituzionalismo sabaudo.) Come Ministro del Parlamento siciliano propose l’introduzione della carta-moneta con la creazione del Banco di Sicilia. Per decreto stabilì che i beni ecclesiastici e le argenterie delle chiese fossero dati in pegno per i prestiti allo Stato; abolì inoltre l’odiata tassa sul macinato che gravava particolarmente sugli strati più poveri della popolazione.
Dopo la riconquista borbonica dell’isola Filippo Cordova, fu uno dei 43 proscritti patrioti siciliani, costretto all’esilio prima a Marsiglia e poi a Torino, dove entrò a far parte della redazione del giornale Il Risorgimento diretto da Camillo Benso conte di Cavour e ne divenne nel 1852 il direttore. Cavour in seguito lo chiamò a dirigere l’ufficio di statistica del Ministero delle finanze e curò l’elaborazione delle leggi sul “Consiglio di stato”, sulla “Corte dei conti” e sul “contenzioso amministrativo”, argomenti sui quali si distinse particolarmente nella fase postrisorgimentale, tant’è che i suoi studi fanno tutt’oggi testo nel Consiglio di Stato.
Nel 1859, anno del suo inserimento nella grande loggia massonica Ausonia, insieme al conterraneo La Farina, pubblicò una relazione sul censimento generale del Regno.
Raccolti attorno a lui i patrioti siciliani esuli, fornì le carte della Sicilia per la spedizione dei Mille, cui partecipò anche il nipote, Vincenzo Cordova.
Garibaldi inizialmente lo nominò procuratore generale della Corte dei Conti in Sicilia, ma venne in seguito espulso insieme al La Farina a causa della lotta politica tra “annessionisti” e regionalisti che si era scatenata con Francesco Crispi, allora di idee repubblicane, segretario di Garibaldi.
Rientrò in Piemonte, non nascondendo mai la sua avversione a Garibaldi, malgrado entrambi appartenessero alla Massoneria. Occorre dire a questo proposito, considerata la propaganda politica quasi clandestina del tempo, che la Massoneria nei primi anni unitari assolse alla mancanza dei partiti che lentamente s’andavano formando-come lo stesso Giordano sostiene nel suo recente volume. Cavour lo nominò segretario del Ministero delle Finanze nel primo governo del Regno, con il compito di unificare i bilanci degli Stati preunitari. La “rivincita” su Garibaldi, arrivò quando nel 1861 venne eletto deputato nei collegi di Caltanissetta, Caltagirone e Siracusa.
Ma la disputa-se così può chiamarsi -tra i due non finì lì, anzi ebbe come scenario la Massoneria che a quel tempo fungeva anche da “rete internazionale” per il riconoscimento dei nuovi stati. Nel marzo 1862, durante lo scontro più acuto tra democratici e filosabaudi all’interno del Grande Oriente, emerse la figura del Cordova, il quale da Gran Maestro “aggiunto”, fu votato Gran Maestro scalzando per pochissimi voti la candidatura di Garibaldi, sostenuta dall’ala democratica.
Gli effetti furono devastanti per il sodalizio che si divise in tre filoni, uno dei quali, il Supremo Consiglio di Palermo, elesse Garibaldi Gran Maestro, conferendogli subito i 33 gradi del rito scozzese: sullo sfondo il tentativo garibaldino di occupare Roma, in quanto centro della penisola, tentativo finito in Aspromonte col ferimento dello stesso Garibaldi. Il Cordova -sempre più uomo di stato filosabaudo, fu nominato contemporaneamente al Ministero dell’agricoltura e commercio nel primo governo Ricasoli, e istituì, tra l’altro, la “Divisione di statistica” (attuale ISTAT). Fu poi ministro di Grazia e Giustizia e culti nel primo governo Rattazzi e consigliere di stato-dove appunto furono accettate le sue idee sul “contenzioso amministrativo”, tuttora in vigore.
Tra il 1864-67,col trasferimento di capitale da Torino a Firenze (che provocò numerosi disordini), ebbe vari incarichi in politica estera facendo riconoscere il nuovo stato italiano alle potenze europee. Contemporaneamente si tentò di ricomporre le fratture all’interno del G.O.I. nominando nel 1864 Garibaldi Gran Maestro, sebbene il dissidio col Supremo Consiglio di Palermo si spostasse ora sul terreno dell’eccessivo accentramento sabaudo (come dimostra la rivolta del 1866 nel capoluogo siciliano).
Nel 1867, Cordova tornò per pochi mesi a ricoprire il ruolo di Gran Maestro, mentre ancora una volta Garibaldi riproponeva la spedizione, finita tragicamente a Mentana, per Roma capitale. Ma ormai anche Filippo Cordova condivideva quell’obiettivo-come attesta il nipote Vincenzo nell’ampia biografia dello zio, -poiché l’influenza francese sulle sorti d’Italia diveniva sempre più minacciosa. Nel 1868 venne eletto presidente della “Commissione di inchiesta sul corso forzoso”, ma colpito da infarto morì il 16 settembre a Firenze, ove venne sepolto al cimitero di San Miniato.
Da uomo di cultura manifestò sin dall’infanzia una certa precocità, tanto che a dieci anni compose tre tragedie (Catone, Giovanni e I Dittinali) e un sonetto in onore di san Lorenzo martire, patrono della cittadina natale. Si laureò a Catania in legge e in geologia e nel 1831 entrò nello studio dell’avvocato Agnetta a Palermo, dove conobbe diversi patrioti, tra cui Michele Amari, Vincenzo Fardella di Torrearsa, Ruggero Settimo.
Aiutato dallo zio-cugino Gaetano Scovazzo nel 1838 partecipò al “Congresso scientifico di Clermont-Ferrand” e si fece conoscere presso l’Accademia di Francia. Le sue amicizie culturali lo portarono a contatto con Quintino Sella, Stanislao Cannizzaro, Lionardo Vigo, Carmelo Maravigna, Alessandro Rossi, Camillo Cavour e Massimo Cordero di Montezemolo.
*Presidente Comitato di Palermo Istituto per la Storia del Risorgimento italiano