di Giovanni Zannini
Il “Rojava” è la Federazione Democratica della Siria del Nord – il Kurdistan – costituitasi di fatto ma non riconosciuta dal governo centrale siriano del presidente Bashar al Assad che si oppone con la violenza al desiderio di libertà dei curdi nonostante essi abbiano dato un contributo fondamentale alla lotta contro l’avanzata del Califfato Islamico in Siria.
Desiderio di libertà associato ad un sistema democratico di “autorganizzazione politico sociale” ispirato da Abdullah Ocalan, leader dei curdi turchi, basato sul non sfruttamento capitalistico delle risorse energetiche (il Kurdistan è ricco di petrolio) e che si dedica in particolar modo alla liberazione delle donne – che partecipano attivamente alle battaglie contro l’Isis inquadrate nella brigata femminile YPJ, Unità di Protezione delle donne – dal degrado nel quale esse si trovano attualmente nella società mediorientale.
E per difendere il Rojava dalla controffensiva dei jihadisti, dagli attacchi del governo di Bashar al Assad, dall’aggressione dei turchi che accusano il Rojava di collusione con l’odiato partito del PKK aspirante alla liberazione del Kurdistan turco, numerosi europei, e fra questi una quindicina di italiani, si sono arruolati nel battaglione internazionale costituito nell’ambito delle YPG – le Unità di Protezione Popolare Curde – per aiutare i curdi nella loro difficile battaglia.
Si tratta di uomini animati da spirito di solidarietà internazionale per i curdi – una popolazione di 30 forse 40 milioni dispersa in Iran, Iraq, Siria e Turchia, la più grande minoranza esistente priva di unità nazionale – e dal desiderio di difendere l’occidente contro il jihadismo: non, sia chiaro, “contractors”, mercenari disposti a battersi per chi li paga, e quindi solo per interessi economici, ma uomini che credono nel diritto dei popoli alla libertà, l’ideale che sempre ispirò la vita di Giuseppe Garibaldi.
L’Eroe dei due Mondi, infatti, durante il suo esilio in Sudamerica, si batté contro il Brasile per l’indipendenza della Provincia del Rio Grande do Sul, poi in difesa dell’Uruguay aggredito dall’Argentina, e nel 1870, pur vecchio e malato, non esitò, alla testa del suo “Esercito dei Vosgi” a dare il suo contributo alla difesa della Francia contro l’aggressore prussiano. Mentre vanno ricordati i volontari garibaldini che indossando la mitica camicia rossa si batterono contro i turchi oppressori a Creta nel 1867 ed in Grecia nel 1897; che accorsero nel 1863 in Polonia a fianco dei polacchi insorti contro i russi; che nel 1848 diedero il loro contributo all’impari lotta degli ungheresi contro l’Austria, e che nel 1914, prima dell’ingresso dell’Italia nella 1a guerra mondiale, si batterono in difesa della Serbia attaccata dagli austriaci e, sulle Argonne, contro i tedeschi invasori della Francia repubblicana.
Purtroppo, ogni nobile ideale ha le sue vittime: Lorenzo Orsetti, fiorentino, classe 1986, nome di battaglia “Tekosher” – lottatore – caduto in un’imboscata dei jihadisti a Baghuz. “Mi sono avvicinato alla causa curda” diceva “perché mi convincevano gli ideali che la ispirano, vogliono costruire una società più giusta ed equa”. La madre, pur nel suo grande dolore, ha così commentato la morte del figlio: “E’ un bravo ragazzo, ha sempre voluto aiutare gli altri”. E il padre: “Siamo orgogliosi di lui, della scelta che ha fatto”. Ecco perché Lorenzo Orsetti e gli altri italiani che si battono per la libertà del popolo curdo si possono considerare a titolo onorifico “garibaldini”.