Quasi sessant’anni fa l’avvocato anconitano Oddo Marinelli (repubblicano, già garibaldino del ’15 e padre costituente), sollecitato in tal senso, diede inizio ad una ricerca – che si rivelò infine infruttuosa – per dare alle stampe una storia della spedizione delle Argonne dal punto di vista diplomatico, italiano e francese, al fine di arricchire una storiografia che, già all’inizio degli anni Sessanta, aveva tracciato una prima cronaca di quei giorni. Da quella antica volontà sembra prendere le mosse Stefano Orazi per la sua opera sull’impresa condotta in Francia dai nipoti del Nizzardo: l’intento principale dell’Autore è difatti quello di «osservare l’avvenimento da dietro le quinte, inquadrarlo cioè nell’analisi della documentazione diplomatica, nell’intento […] di poter scoprire il non detto o il non apertamente detto, le interpretazioni nascoste dei tempi, degli uomini e delle vicende, svelate solo nello scambio epistolare diretto […] fra le diverse agenzie a vario titolo responsabili della guerra» (p. 177). Il volume ha pertanto il pregio di inserirsi in due filoni storiografici: l’uno, riguardante la fine di quella tradizione garibaldina riproposta da Ricciotti Garibaldi sr a fine Ottocento; l’altro, relativo al contrastato periodo di neutralità del Regno d’Italia. Questo secondo tema pare però prevalere sul primo: l’attenzione dell’Autore si rivolge difatti più sulle immediate ricadute politico-militari della spedizione nel contesto della Grande guerra, che non sul reale valore della Legione come ultima prova della tradizione in camicia rossa. Rispetto al primo macrotema, comunque, l’Autore conferma la teoria – ormai invalsa nella storiografia – di un tentativo quasi antistorico, portato avanti dai fratelli Garibaldi nelle Argonne, nel proporre ancora tattiche risorgimentali in una realtà bellica al contrario pienamente moderna, meccanizzata e di massa; nonché la «fine del ruolo politico della dinastia garibaldina» (p. 183), legata soprattutto al declino della figura di Ricciotti sr (pp. 155-156), al netto di una popolarità ancora vivace fra le masse – non solo italiane – del mito di suo padre.
Nell’analisi proposta dall’Autore spicca la figura dell’allora ambasciatore francese in Italia Camille Barrère, costantemente preoccupato di seguire l’evolversi degli eventi per assecondare un intervento sabaudo a fianco dell’Intesa. È proprio a partire dall’uso delle carte diplomatiche transalpine, in particolare i periodici rapporti forniti dal Barrère al suo superiore Delcassé – integrate per parte italiana dalla documentazione parallelamente prodotta dal Presidente del Consiglio Salandra e dal regio ambasciatore a Parigi Tittoni – che Orazi fornisce il contributo maggiore e più originale, inserendo nel contesto francese della Prima guerra mondiale la vicenda garibaldina che certamente venne da esso plasmata, da un punto di vista socio-militare, «all’interno delle precise difficoltà del momento, delle attese del governo e dell’alto comando della Repubblica e degli stessi concetti di “soldato” e di conduzione bellica tipici dell’armata transalpina intorno al 1914-15» (p. 41). Soprattutto per la fase di scioglimento del corpo viene delineata una particolare predisposizione del Barrère nel tentare di favorire una continuazione dell’impegno garibaldino a fianco dell’Intesa (p. 134), per la quale lo stesso Ricciotti sr si era mosso a Parigi così come a Londra.
Inoltre, notevole è l’apporto fornito all’analisi dalle carte dei fondi privati dei repubblicani Oddo Marinelli, Camillo Marabini e Giovanni Conti (conservati presso l’Archivio di Stato di Ancona), dalle quali emerge il contrasto – in sede di organizzazione del corpo – fra il “partito” garibaldino e quello retto allora da Oliviero Zuccarini sul carattere che avrebbe dovuto assumere la spedizione e su chi dovesse incarnarne la leadership nei riguardi delle autorità d’Oltralpe. Alla luce delle importanti relazioni degli emissari repubblicani presso i garibaldini, Bazzi e Briganti, rimane però solo tratteggiata l’interessante questione della Compagnia “Mazzini” di Nizza.
Per una vicenda, come quella garibaldina del ’15, che non ha ancora trovato una sua «adeguata collocazione nel più largo circuito della storiografia internazionale» (p. 29), il libro di Orazi è sicuramente un tassello importante, alla luce delle nuove fonti utilizzate, che certamente arricchisce una storiografia critica recente ma altrettanto corposa, che altresì – avendo l’Autore esplicitamente scelto di non concentrarsi «sulla rilevanza e sull’esito militare della spedizione» (p. 177) – è bene tenere in considerazione per avere tutti gli strumenti per poter definire le Argonne come effettivo “tramonto” di quel garibaldinismo già definito in altra sede «dinastico».
Andrea Spicciarelli