di Gian Biagio Furiozzi
Un luogo comune assai diffuso è quello secondo cui sarebbero stati i bersaglieri i primi soldati italiani ad entrare a Roma il 20 settembre 1870, se non addirittura i soli a liberarla. Un luogo comune alimentato probabilmente anche dal fatto che nel 1932 è stato installato, di fronte a Porta Pia, il Monumento al bersagliere, al quale è stato annesso, nello stesso anno, il Museo storico dei bersaglieri, trasferendolo dal precedente sito presso la Caserma Lamarmora a Trastevere. Ma forse non si è sottolineato abbastanza che queste due iniziative furono realizzate nel decennale della presa del potere da parte di un Benito Mussolini che, guarda caso, aveva militato nella Grande Guerra come bersagliere, con il grado di caporal maggiore.
Anche se, per indicare le forze entrate a Roma, molti storici hanno usato espressioni come “truppe italiane”, “soldati italiani”, “una forza italiana”, “le artiglierie italiane”, “le armi di Cadorna”, “il Regio Esercito” e perfino “lo Stato italiano”, non c’è dubbio che la vulgata più diffusa, con una sola eccezione, faccia riferimento ai bersaglieri e, in qualche caso, a “reparti di fanteria e di bersaglieri”.
Per ricostruire con esattezza l’avvenimento, dobbiamo partire dai classici resoconti di due giornalisti che furono al seguito delle truppe del generale Cadorna, Ugo Pesci ed Edomondo De Amicis. Molto amici tra loro, entrambi erano stati ufficiali di artiglieria ed entrambi erano inviati di giornali di Firenze: Pesci del “Fanfulla” e De Amicis di “Italia militare”. Nel suo resoconto dal titolo Come siamo entrati a Roma, pubblicato nel 1895 con la prefazione di Giosuè Carducci, Pesci scrive che il 12° battaglione bersaglieri, dalla breccia, e il 39° fanteria, da Porta Pia, entrarono a Roma “quasi contemporaneamente”.
Nei Ricordi del 1870-71. L’entrata dell’esercito a Roma (uscito nel 1872), De Amicis scrive con maggiore precisione: “Quando la Porta Pia fu affatto libera, e la breccia vicina aperta sino a terra, due colonne di fanteria furono lanciate all’assalto. Ho visto passare il 40° a passo di carica. L’ho visto, presso alla porta, gettarsi a terra per aspettare il momento opportuno ad entrare. Ho sentito un fuoco di moschetteria assai vivo; poi un lungo grido: Savoia! Poi uno strepito confuso; poi una voce lontana che gridava: Sono entrati! Allora giunsero a passi concitati i sei battaglioni bersaglieri della riserva (…). Per la breccia vicina entravano rapidamente i nostri reggimenti”.
In questo racconto troviamo due precisazioni importanti. Ovvero che gli ingressi dai quali entrarono i soldati italiani furono due, la breccia e la porta e che, se dalla breccia entrarono prima i bersaglieri, essi furono preceduti di alcuni minuti da due colonne di fanteria entrate dalla porta principale. L’unico storico che ha fatto propria la versione di De Amicis è stato Antonio Di Pierro nel suo ottimo volume dal titolo L’ultimo giorno del Papa Re (Mondadori, 2007) che ha scritto: “Il primo soldato italiano a violare il ciglio della breccia, alle 10.10, è un bersagliere del 12° battaglione: si chiama Federico Cocito. Pochi minuti prima i fanti del 39° reggimento avevano sfondato a Porta Pia” (p. 139).
Questa versione è confermata dal primo dispaccio inviato dal sottotenente Cocito al Comando italiano, che parlava genericamente di “colonne che entrano con slancio” a Roma. Identiche espressioni sono contenute nel dispaccio che – a sua volta – Cadorna trasmise a Firenze alle ore 12: “Ore 10 forzata Porta Pia e breccia laterale aperta in quattro ore, colonne entrano con slancio malgrado vigorosa reazione”. Neanche lui, dunque, nomina i bersaglieri.
Tutta la vicenda è stata ricostruita, con dovizia di particolari, da uno studio dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito pubblicato nel 1910, nel quale si fa presente che la prova del fatto che i fanti precedettero, anche se di poco, i bersaglieri, è che nel pomeriggio del 20 settembre venne issata sul Campidoglio la bandiera della fanteria.