Francesco Evangelista, presidente onorario, in camicia rossa alla inaugurazione del Museo della Divisione “Garibaldi” ad Asti il 2 giugno 2015

RICORDO DI FRANCESCO EVANGELISTA

La scomparsa del presidente onorario

Il 2 giugno, giorno che ci ricorda tra l’altro la morte di Garibaldi, è venuto a mancare il nostro presidente onorario Francesco EVANGELISTA, abruzzese di origine ma fiorentino d’adozione. Essendo nato nell’ottobre del 1920, tra pochi mesi avrebbe raggiunto un secolo di vita trascorsa in discreta salute salvo gli ultimi mesi dopo che una rovinosa caduta ne aveva causato l’infermità.

Traggo queste righe biografiche di Francesco dall’intervista rilasciata non molti anni fa a Eric Gobetti, pubblicata nel libro “La Resistenza dimenticata” e da suoi articoli e interventi pronunciati nel contesto associativo dell’ANVRG di cui aveva fatto parte con ruoli di primo piano fin dalla ricostituzione, nell’immediato secondo dopoguerra.

Figlio di socialisti, Francesco non si era mai iscritto al partito fascista e per questo motivo non poté accedere, ancorché studente, alla scuola ufficiali. In Montenegro vi arrivò via mare, dopo una rischiosa traversata, nel 1942, come semplice soldato in sostituzione di un commilitone rientrato in patria. Trascorse i mesi prima dell’armistizio presso il comando della divisione “Venezia”, con funzioni di addetto ai rapporti con i collaborazionisti locali e al magazzino viveri. Era il periodo in cui gli italiani erano occupatori, alleati con i tedeschi e i cetnici, e alla vigilia dell’8 settembre ’43 finì per caso sul luogo di un’imboscata partigiana “tra le carcasse dei camion bruciati, i corpi dei morti crivellati sulla strada, ancora caldi, pochi minuti dopo la battaglia”: il trauma di quella vista gli procurò danni alla salute e “un ricordo che non lo abbandonerà mai, nonostante tutto quello che ancora avrà modo di vedere negli anni successivi”, scrive Gobetti raccogliendone la testimonianza.

Poi venne l’8 settembre, la scelta da che parte stare: la sua fu una convinta adesione alla proposta di continuare a combattere contro i nazisti ed i loro alleati e di farlo a fianco dei nuovi alleati, i partigiani titini. Entrò così a far parte della III Brigata della “Venezia”, poi “Garibaldi”, comandata ad un eroico ufficiale, il maggiore degli alpini Cesare Piva che cadde il 5 dicembre nella battaglia di Pljevlja meritando la Medaglia d’oro al VM. A quella sanguinosa battaglia, una delle più crude della Resistenza in Montenegro, vi prese parte anche Francesco Evangelista che si salvò disperdendosi nei boschi coperti dalla neve di un inverno freddissimo. “Mi aiutò moltissimo” raccontò in una memoria, “una pelle di pecora che avevo comprato casualmente, la quale, avvolta durante la notte intorno ai piedi senza scarponi, mi consentiva di dormire evitando il congelamento”.

Ritrovati dopo una ventina di giorni i compagni d’arme, la mattina del 3 gennaio ’44 a Hocevina, nel corso di attacco tedesco, fu fatto prigioniero e trasferito in campi di prigionia prima a Belgrado, poi a Mostar e infine vicino Dubrovnik dove vi rimase sino all’agosto di quell’anno quando, avventurosamente tentò la fuga, riuscendovi superando il filo spinato aggrappato ai rami di un albero abbattuto ed evitando le pattuglie che controllavano il recinto. Dopo lungo peregrinare a piedi tra i monti della Bosnia fu rifocillato ed ospitato in una casa di contadini che per ricambiarli dell’ospitalità aiutava nei loro campi. In ottobre, saputo della liberazione di Dubrovnik vi si diresse e raggiunse un comando partigiano dove fu aggregato ad un reparto di inglesi addetti ai rifornimenti dei viveri alle colonne combattenti. Un impiego nelle retrovie, dunque, dove non mancò di familiarizzare con i soldati britannici con i quali “parlavamo della guerra, della situazione in Italia e della prossima vittoria degli Alleati”. Nel gennaio ’45 si unì, fingendo di essere inglese, ad un reparto di inglesi che rientrava in Italia e così raggiunse Bari con l’intenzione di andare a trovare la sorella a Sulmona. Ma per strada, ad un controllo, non avendo altri documenti se non una tessera con la stella rossa rilasciata dal comando partigiano, Francesco fu riportato a Bari, al comando militare per l’identificazione e trattenuto in cella per diversi giorni. Subì un lungo interrogatorio ma, come scrisse, “al termine del racconto ebbi un encomio verbale e mi pagarono tutti gli arretrati della paga militare, poi mi diedero un mese di licenza; ne approfittai per andare a Sulmona per godermi un po’ di meritato riposo, sperando in un’Italia migliore di quella che avevo lasciato”.

Come tanti altri sopravvissuti della Divisione “Garibaldi”, Francesco Evangelista torna lentamente alla vita normale, al lavoro. Gli resteranno impressi per sempre i traumi vissuti, le violenze, la paura, il freddo, la fame e ne condividerà il ricordo nelle conversazioni con i commilitoni finalmente ritrovati. Il luogo più appropriato per la conservazione di queste memorie è proprio l’Associazione dei reduci garibaldini che, da poco ricostituita su basi democratiche e antifasciste, accolse i reduci della Divisione “Garibaldi”. Francesco fu tra i primi a rispondere all’appello, a darsi da fare per il sodalizio e per il suo periodico “Camicia Rossa” di cui fu amministratore.

Nella sua lunga vita ha accompagnato l’evoluzione dell’ANVRG, ricoprendo le cariche associative sezionali e nazionali – consigliere nazionale, segretario amministrativo, vicepresidente – e ne ha sempre assecondato e favorito la trasformazione da associazione di reduci a ente a forte valenza culturale. Lo ricordiamo nei suoi interventi ai congressi nazionali rivolti a favorire la presenza e la responsabilizzazione dei giovani, a realizzare interventi nelle scuole per educare gli studenti alla storia, alla memoria e ai valori e agli esempi della tradizione garibaldina, ad auspicare un’apertura mentale per assicurare la sopravvivenza dell’associazione aggiornandone le finalità.

Ebbe a scrivere “i garibaldini sono una rappresentanza di coloro che, a prezzo della propria vita, hanno prima fatto l’Italia, poi l’hanno portata ad essere una repubblica e infine una vera democrazia. Adesso tocca ai giovani mandare avanti gli ideali che hanno mosso noi e trasmetterli alle future generazioni”. Parole di grande saggezza. (Sergio Goretti)

Sono sempre meno, i nostri garibaldini, reduci della Divisione. Ora anche Francesco Evangelista se n’è andato, solo pochi mesi prima del traguardo fatidico del secolo. Un secolo vissuto con lucidità e consapevolezza, fino alla fine dei suoi giorni. Non amava parlare della propria esperienza di guerra, prigionia e fuga, da quell’uomo di poche parole, ma di più fatti, quale era. Forse che quei giorni lontani fossero stati troppo crudi, o, semplicemente, per non rattristare, od ancor più, perché erano passati e conclusi. Era un uomo pratico, che in tutta la propria esistenza ha operato per raggiungere obbiettivi semplici, come la famiglia, il lavoro, sempre con buon livello di curiosità per la vita che lo ha mantenuto intellettivamente agile e ben centrato nel proprio tempo. Amante del vero, schietto e diretto, fino a sembrar quasi brusco, è stato una figura presente e di peso nelle scelte congressuali dell’associazione. Sicuramente il suo carattere era stato forgiato dalle esperienze vissute, ma anche dalle origini abruzzesi, terra di macigno e di fertili pascoli; proprio come lui: apparentemente aspro, ma dal cuore generoso. Un carattere che ben si fondeva col modo migliore di essere “garibaldino”. Ora, a noi che restiamo, l’impegno di mantenere con lo stesso livello etico, l’Ideale di quella camicia rossa. (Paola Fioretti)