ANCHE BAMBINI CHIAMATI MILLE –

Onomastica garibaldina

di Cesare Protettì

Mi è venuto tra le mani, in un recente viaggio a La Maddalena, a casa di un’amica, un volumetto del 2006 dell’Almanacco maddalenino, frutto del Co.ri.s.ma., il comitato di ricerche storiche maddalenine. Al suo interno, mi ha colpito uno studio di Gian Luca Moro sull’onomastica garibaldina a La Maddalena nel periodo tra il 1866 e il 1915, quello maggiormente vicino alla presenza di Garibaldi e della sua famiglia a Caprera. La sua leggenda non nacque, come per la maggior parte dei miti e delle leggende in epoca successiva alla sua scomparsa, ma ancora lui vivente.

Moro ha esaminato dunque la frequenza e l’ampiezza di nomi riferibili a Garibaldi o al suo entourage in un ambito ristretto e parziale, come quello della Maddalena. Ed è partito dal 1866 perché è l’anno dell’istituzione sull’isola dell’anagrafe civile, esattamente 10 anni dopo l’arrivo di Garibaldi a Caprera. Il 1915 è invece l’anno dell’entrata in guerra dell’Italia, a più di 30 anni dalla morte di Garibaldi, quando, anche nell’onomastica, altre ideologie cominciavano a far sentire i loro influssi. “La ricerca – osserva Moro – è stata certamente facilitata dai nomi garibaldini, la maggior parte dei quali è assolutamente originale (vedi Menotti) o difficilmente spiegabili se non collegati con le scelte dell’uomo di Caprera (come Clelia e Manlio, nomi romani, molto rari). Ebbene, nell’arco dei quasi cinquant’anni che intercorrono fra il 1866 e il 1915, dalle ricerche fatte da Moro nei registri dell’anagrafe di La Maddalena risultano 75 persone con nomi riconducibili a Garibaldi.

La tradizione dei nomi garibaldini, in quegli anni, non è solo diacronica (un nome che torna attraverso le generazioni, ma anche sincronica: per esempio Enrico Grisetti, calderaio, ebbe tre figli all’inizio del ‘900: Manlio nel 1901, Clelia nel 1904 ed Anita nel 1909. In quegli anni nacquero anche bambini con l’aggiunta del nome Garibaldi o Garibaldo: come Ubaldo Garibaldi Bombagi, Maria Garibaldi Gimmelli, Alessandro Garibaldi Buttaro, e addirittura una Garibalda Gammarano.

La storia più curiosa è però quella di due amici maddalenini, Antonio Baffigo e PompilIo Bargone, ferventi garibaldini e frequentatori assidui della casa di Caprera, che chiamarono i loro figli Mille, procedendo a farli “battezzare” sulla tomba di Garibaldi a Caprera.

Ma il gruppo più numeroso di bambini maddalenini “garibaldini” fu battezzato in quegli anni con i nomi di Clelia e Manlio. Clelia era stata la primogenita della coppia formata dell’eroe e da Francesca Armosino. Era nata a Caprera il 6 febbraio 1867, in una giornata fredda e ventosa. Garibaldi, da rigoroso igienista la tuffò subito in una vasca di acqua fredda sotto gli occhi esterrefatti della moglie che temeva chissà quali tragiche conseguenze per la neonata.

Per tutta la vita Clelia si dedicò alla memoria del padre, curando la casa, accogliendo ospiti e visitatori e scrivendo le sue memorie, fino alla morte che avvenne il 2 febbraio 1959, all’età di 91 anni. Ora è seppellita nel piccolo cimitero di famiglia, in una tomba posta accanto a quella della madre Francesca Armosino. Poco più in là, le tombe del fratello Manlio, del padre, Giuseppe Garibaldi, e della sorella Rosa.

Manlio, invece, l’ultimogenito, è vissuto molto poco. Era un giovane tenente di vascello dell’Accademia Navale di Livorno che aveva solcato i mari ripercorrendo le rotte già intraprese dal padre. Ma nel 1897 le sue condizioni di salute lo costrinsero a lasciare il servizio in Marina: aveva contratto una grave forma di tubercolosi. Si spense a poco più di 26 anni il 12 gennaio 1900 a Bordighera, dove si era trasferito con la famiglia per beneficiare del clima mite della cittadina ligure. Le sue spoglie furono poi traslate a Caprera dove riposano in una tomba accanto a quella del padre che aveva riposto in lui molte aspettative: nel romanzo “Manlio” che scrisse interamente a Caprera, ne immaginava gloriose gesta.

Non risulta invece che la fantasia e la devozione laica e garibaldina dei maddalenini sia arrivata al punto (oggi non insolito) di dare ai bambini nomi di animali (e viceversa). Non risultano né bambine chiamate Marsala, il nome dell’amatissima cavalla di Garibaldi che lo portò in groppa durante la spedizione dei Mille ed è sepolta a Caprera; né bambini chiamati Guerrillo, il cane ferito nella battaglia di Santo Antonio che vide protagonista Garibaldi e i garibaldini della legione italiana di Montevideo. L’esito vittorioso della battaglia rese famoso Garibaldi in tutto il Sud America e in un certo senso anche Guerrillo, che soccorso, curato e adottato dall’Eroe, approdò con lui in Italia.