Lino MARTINI, La giostra delle verità, prefazione di Carmine Pinto, RiStampa Edizioni, Rieti 2021, pp. 352, Euro 22

Lino MARTINI, La giostra delle verità, prefazione di Carmine Pinto, RiStampa Edizioni, Rieti 2021, pp. 352, Euro 22

Con la “giostra delle verità” relative alla versione dei fatti della Battaglia di Rieti/Antrodoco del 7/9 marzo 1821, l’autore Lino Martini è riuscito a mettere un punto fermo sullo svolgimento di una battaglia che per duecento anni è stata raccontata con versioni differenti a seconda dello interesse di chi la raccontava.
I fatti avvennero dopo la restaurazione del 1815. I napoletani, guidati dai liberali, nel luglio 1820 insorsero ed il re Ferdinando I li assecondò con una costituzione che concedeva alcune prerogative al Parlamento, ma lo fece con riserva mentale perché preso da timore per l’insurrezione.
Ben presto il suocero, l’imperatore d’Austria Francesco I d’Asburgo Lorena, lo richiamò a Lubiana per redarguirlo e per ordinargli di rimangiarsi quanto concesso. Così, prima che il genero ripartisse per Napoli, l’imperatore spedì a sud un esercito di circa 50.000 uomini per convincere i “costituzionali”, così si chiamavano coloro che governavano il regno napoletano dopo la concessione della costituzione, a rinunciare a quanto concesso a luglio.
I napoletani non stettero a guardare, ma si accinsero a resistere. Così all’inizio di marzo del 1821 i due eserciti si trovarono l’uno di fronte all’altro sul confine tra il Regno delle due Sicilie e lo Stato Pontificio, situato a 4 km dalla città di Rieti, allora città di confine.
E fu qui che il 7 marzo avvenne lo scontro tra i due eserciti, quello austriaco guidato dal gen. Frimont e quello napoletano guidato dal generale Guglielmo Pepe, a seguito del quale gli austriaci ebbero la meglio sui circa 12.000 napoletani, dopo che questi, battutisi valorosamente nelle ore centrali della giornata, al calar della sera, durante la ritirata verso Antrodoco, per cause ancora da chiarire, si sbandarono in massa e si dispersero sulle colline circostanti e lungo le valli del Velino e del Salto. Solo un migliaio di essi rimase a combattere sotto le bandiere, abbozzando una debole resistenza nelle gole di Antrodoco il 9 marzo successivo.
Questa battaglia non ha avuto una gran fortuna tra quelle prese in esame dalla storiografia. È rimasta più nel limbo della memoria che al centro di un vero e proprio esame storiografico.
A questa carenza ha cercato di rimediare Lino Martini che da anni si occupa dell’argomento e che ora ha dato alle stampe questo libro cercando di far emergere la verità dei fatti accaduti.
A giudicare dalla lettura dei documenti pubblicati nel libro, è stata di certo un’impresa di non poco conto trattandosi delle relazioni dei generali Pepe, Carrascosa e Colletta, della versione del maggiore Blanch, della narrazione di Piersilvestro Leopardi, del racconto di Salvatore De Renzi, della lettera di Ruiz ad Ulloa, della versione di Eugenio Dupré pubblicata dallo storico Angelo Sacchetti Sassetti, della versione dei diversi bollettini di guerra.
L’autore lo chiama “un accidentato percorso tra il vero, il falso e la menzogna alla ricerca della verità sulla fase culminante della guerra austro napoletana del 1821” e, leggendolo, ci si rende conto che è proprio vero. È un accidentato percorso perché, come dimostra Martini, ognuno ha dato la versione dei fatti che più gli faceva comodo. Così per far luce sugli eventi l’autore, non solo ha dovuto fare un esame dettagliato delle varie versioni mettendole a confronto, ma ha verificato anche tutti i particolari dello svolgimento degli eventi studiando attentamente il terreno dove si sono svolti i fatti d’arme, e tutto il vasto territorio nel quale era schierato l’esercito napoletano in tutti gli scacchieri dove era possibile che il Regno fosse assalito dagli austriaci. Una correlazione che è stata determinante ai fini dell’esito della battaglia e che mette in luce come gli interessi personali dei vari protagonisti dell’esperienza napoletana del 1821 resero più facile all’imperatore restaurare l’ordine sancito a Vienna nel 1815.
Dalla attenta disamina, la figura del gen. Guglielmo Pepe, che la vulgata di questi due ultimi secoli aveva messo in ombra facendolo apparire come un generale che non aveva saputo elaborare una strategia adeguata per affrontare l’esercito guidato dal gen. Frimont, ne risulta così rivalutata. Il suo piano strategico era il meglio che si potesse mettere in campo, adeguato al terreno ove si tennero i fatti d’arme. Pepe seppe ben posizionare le sue truppe e le poche artiglierie di cui disponeva nei punti migliori delle colline confinanti tra Papato e Regno. La scelta del Colle di Lesta per la collocazione del suo punto di osservazione fu la migliore perché da lì egli poteva tenere sotto osservazione tutta l’avanzata dell’esercito austriaco attraverso la piana reatina in direzione Terni-Rieti. Di lì egli si poté rendere conto con tempestività del momento più favorevole per ordinare la ritirata al fine di portare a casa il resto dell’esercito ancora in assetto di formazione.
E forse la battaglia avrebbe potuto avere uno svolgimento diverso, se il generale Montemayor avesse portato la sua brigata alle porte di Rieti alle 6 del mattino, come previsto dal piano strategico, anziché alle 10, quando la città aveva già predisposto una adeguata difesa.
Ma la storia non si fa con i forse, gli Austriaci risultarono vittoriosi, ma agli sconfitti il gen. Frimont riconobbe nella sua relazione inviata a Vienna che l’esercito napoletano, durante la battaglia, si era comportato con onore, nonostante che, a fine giornata, si fosse in gran parte sbandato durante la ritirata.
Una lettura, quella di questo libro, impegnativa ma piacevole perché tutta permeata dalla logica degli eventi ricavata dai documenti, che mai infastidisce il lettore e che anzi lo accompagna con uno stile semplice, ma adeguato alla materia.
(Il libro può essere richiesto anche all’autore all’indirizzo pasqualino.martini@gmail.com)
Gianfranco Paris