AA.VV, L’ultimo Risorgimento. Settembre 1866: la rivolta del Sette e Mezzo, a cura di Santo LOMBINO e Aurelio MAGGI, Palermo, Istituto Poligrafico Europeo, 2018, pp.215, € 12

Questo recente volume rappresenta una raccolta organica di saggi scritti da diversi studiosi sui fatti di Palermo e dei paesi limitrofi tra il 16 e il 22 settembre 1866, passati alla storia come “la rivolta del Sette e Mezzo”, nome che va ad indicarne la durata. Per troppo tempo questa vicenda storica è stata posta in secondo piano dalla storiografia risorgimentale e dalle istituzioni pur rivestendo una grande importanza in quanto ha rappresentato l’ultima fiammata del Risorgimento, avvenuta tra l’altro alla fine della terza guerra di Indipendenza, con molti punti ancora da approfondire. Il tumulto esplose in tutta la sua violenza nel primo quinquennio unitario e cioè nel delicatissimo momento iniziale della costruzione del nuovo Stato italiano ed ebbe perciò importanti ripercussioni e riverberi politici nazionali ed internazionali, andando inoltre ad influenzare pesantemente le scelte amministrative del governo sabaudo sulla Sicilia. I fatti in breve: nella notte tra il 15 e il 16 settembre bande armate provenienti da Monreale, Bagheria e Misilmeri invasero la città di Palermo e tentarono l’assalto ai palazzi pubblici. Molti dei quali vennero saccheggiati. Il 19 la città sembrava in potere del popolo, infine arrivarono le navi italiane con l’esercito che domò la rivolta. Il 22 Cadorna sbarcò a Palermo assumendo la carica di commissario straordinario e il 24 istituì lo stato d’assedio. Fu stimato che gli insorti furono 35mila, dai dati ufficiali gli appartenenti alle forze dell’ordine uccisi nella rivolta furono 31, mentre non vi è un numero di vittime tra la popolazione perché di lì a poco sarebbe scoppiata un’epidemia di colera, mentre furono arrestati 2.500 civili e condannati 127.

Questo volume assume una notevole rilevanza sul piano storiografico perché racchiude i lavori degli studiosi che della rivolta ne esaminano origini, caratteri e interpretazioni che gli storici ne hanno fatto. Si è soprattutto dibattuto sulla natura della rivolta, ma di certo sappiamo che alla base vi furono due leggi: quella del 7 luglio 1866 sulla soppressione delle corporazioni religiose, e quella del 30 giugno 1861 che estendeva la leva obbligatoria (al tempo, di otto anni) alla Sicilia, che fino ad allora storicamente ne era stata esente. Questo provvedimento venne visto come un sopruso soprattutto dai ceti popolari, poiché andava a distruggere l’economia delle famiglie. Quasi tutti gli studiosi sono concordi nell’individuare le cause della sollevazione nelle tristi condizioni dei ceti popolari: siamo nel 1866, l’anno di Lissa e Custoza, l’anno delle umilianti sconfitte della terza guerra di Indipendenza, l’anno in cui con la legge citata, le proprietà delle corporazioni religiose vennero incamerate dal demanio statale, mandando a casa moltissimi operai e artigiani che vi lavoravano saltuariamente. L’anno in cui ebbe inizio una delle crisi cicliche dell’economia capitalista. A questo quadro generale, in Sicilia va aggiunto il rincaro del prezzo del pane, la siccità che aveva messo fuori uso gran parte dei mulini, e la crisi monetaria ingessata dal corso forzoso del denaro, cioè la sospensione della convertibilità della moneta cartacea in moneta metallica. C’era poi una rabbia popolare che veniva da lontano, l’illusione che l’unione al Regno d’Italia potesse portare a una serie di vantaggi materiali si spense molto presto, con tutto ciò che ne derivò.

Dal punto di vista politico, il fallimento della rivolta viene motivato dalla mancanza di una guida e soprattutto dall’eterogeneità della base che la caratterizzò: d’altra parte, come poteva sfociare positivamente una rivolta che metteva insieme l’opposizione di estrema destra, nobili e clero che avevano come obiettivo la restaurazione borbonica e clericale, con quella di estrema sinistra che si era indirizzata verso uno Sato repubblicano e avvertiva che la vera rivoluzione in Sicilia stava nella giustizia sociale, nel riscatto delle masse popolari più umili e nella difesa dei diritti dei lavoratori? In questa ottica il Sette e Mezzo costituisce l’espressione più evidente del fallimento della politica sabauda nel meridione, e contiene in nuce ogni elemento utile a comprendere l’origine e l’evoluzione della questione siciliana nell’Italia unita. Questo lavoro, grazie alla competenza degli studiosi che vi hanno collaborato, fa perciò luce con grande chiarezza su una pagina di storia complessa e mai spiegata del tutto.

Alessio Pizziconi