GIULIO DE AGOSTINI, ULTIMO GARIBALDINO D’ABRUZZO

Giacomo Di Tollo

Il nuovo anno si è aperto con la triste notizie della scomparsa del nostro caro Giulio DE AGOSTINI, uno degli ultimi effettivi dell’Associazione ed ultimo superstite abruzzese della Divisione Italiana Partigiana Garibaldi, che la sezione di Ortona ha avuto l’onore di annoverare tra i suoi soci. Le nostre condoglianze vanno ai figli Fabrizio, Agostino, Paolo e Laura e a tutta la famiglia.

Nato a L’Aquila il 1° maggio 1921, Giulio è stato uno della trentina di abruzzesi decorati al valor militare facenti parte della Divisione Garibaldi, formatasi dopo l’8 settembre 1943 dall’unione delle divisioni “Taurinense” e ”Venezia”, di stanza in Montenegro, che rifiutarono di arrendersi ai tedeschi. Come ufficiale di Autoreparto della Garibaldi (anche se all’indomani dell’8 settembre la gran parte degli automezzi fu messa fuori servizio per non cadere in mano dei tedeschi) combatté a fianco dei partigiani iugoslavi di Tito. Rientrato in Italia alla fine della guerra non cercò onori o benefici derivanti dalla sua scelta di gioventù. Visse a Roma dove sposò nel 1946 Maria Angela Coletti, di famiglia pennese, da cui ha avuto 4 figli. Tornava spesso a L’Aquila dove si trasferì stabilmente all’inizio degli anni ’90. Nell’aprile 2009, all’età di 88 anni, affrontò la prova del drammatico terremoto che colpì il capoluogo abruzzese: sorpreso in casa, solo, non si perse d’animo e attese i soccorsi che arrivarono 12 ore dopo. A malincuore fu costretto a rientrare a Roma dove ha passato gli ultimi 10 anni della sua vita. Per dirla con le parole di Francesco Sanvitale, “una vita normale, di quelle che sommate insieme fanno il valore di un popolo, senza i protagonismi dell’-io c’ero- né l’ostentazione dei blasoni. Così si entra e si esce dalla storia: con la sobrietà, la riservatezza e la nonchalance dei gentiluomini”

IN RICORDO DI PAPÀ

Di Agostino De Agostini

Papà ha sempre parlato della guerra in Montenegro con noi figli prima, e con i nipoti poi, e tutti abbiamo ascoltato i suoi racconti con grande interesse ed emozione. La guerra era stata una delle esperienze della sua vita che lo aveva segnato di più. Era qualcosa che portava sempre dentro di sé e di cui parlava con aria seria ma serena, a volte raccontando anche episodi con un certo humour.

Non aveva ancora 20 anni quando, la sera del 2 marzo 1941, era partito dalla Stazione Termini di Roma, destinato come soldato semplice all’ XI Reggimento del Genio di stanza ad Udine. Ricordava sempre divertito come avvenne la sua chiamata alle armi. Nel gennaio del 1941 il Segretario Federale di Roma aveva indetto una grande adunata di universitari nel Piazzale della Minerva dell’Università di Roma con lo scopo di convincere gli studenti, tra cui lui, di offrirsi come volontari per il servizio militare. Ad un certo punto, durante il suo discorso, si sentì una voce che gridò: “Vacce te!” seguita da un fischio, poi un altro, e quindi cominciarono urla e pernacchie. Due mesi dopo, per punizione, tutti gli studenti furono richiamati alle armi come soldati semplici.

A giugno del 1941, già promosso sergente, uscì una circolare del Ministero della Guerra che offriva la possibilità ai giovani muniti di patente – allora erano molto pochi – di passare al Servizio Automobilistico. Papà si affrettò a fare la domanda. Terminato il corso a febbraio del 1942, a marzo ebbe la nomina a Sottotenente Automobilista e quindi venne assegnato al 3° Reggimento Autieri, comandato dal col. Alessandro Sforza, di stanza a Milano.

A dicembre 1942 partì per il Montenegro, dove comandava la 193ª Autosezione Pesante dipendente dal quartier generale della Divisione Venezia a Berane. Passò in tutto due anni in Montenegro, 1943 e 1944, dapprima a fianco dei tedeschi e poi, dopo l’armistizio del settembre 1943, confluendo nella Divisione Italiana Partigiana Garibaldi dove combatté assieme ai partigiani di Tito. Ci parlava dei due inverni durissimi, soprattutto quello del 1943-1944 passati sulle montagne, attaccando i tedeschi per poi ritirarsi rapidamente con lunghe marce forzate a piedi, guadando i fiumi di notte. Tra l’altro gli automezzi del suo autoreparto avevano dovuto essere abbandonati e distrutti dopo l’8 settembre per non cadere in mano ai tedeschi. Ironia della sorte, lui che aveva scelto di fare l’ufficiale automobilista fece buona parte della guerra a piedi e in montagna. Ci raccontava degli stenti vissuti, dei baratti fatti con la popolazione locale per procurarsi un po’ di cibo, della mancanza di abbigliamento adeguato, soprattutto le scarpe, della piaga delle cimici e soprattutto della micidiale epidemia di tifo petecchiale del gennaio del 1944. Ci raccontava anche come nell’agosto dello stesso anno la Divisione venne accerchiata dai tedeschi sul monte Durmitor; fortunatamente i tedeschi non riuscirono a portare a termine il rastrellamento perché richiamati al nord dall’offensiva russa in Romania. Nomi come Berane, Pljevlja, Priboj, il fiume Tara, il Durmitor, il generale Oxilia mi sono divenuti familiari.

Pur nella tragedia della guerra e dei compagni perduti, papà raccontava di aver vissuto tutte queste cose con l’incoscienza che solo un giovane di poco più di 20 anni poteva avere. A dicembre del 1944 rientrò in Italia e nel giugno 1945 fu messo in congedo definitivo. Ci diceva anche come fosse stato difficile il reinserimento nella vita civile dopo quattro anni di guerra. Riprese gli studi universitari senza arrivare a concluderli, anche perché nel frattempo si era sposato ed aveva messo su famiglia. Rimpiangeva di non aver continuato la carriera militare dopo la guerra, pur avendone avuto la possibilità. Il suo più grande rammarico restava però che questa pagina della guerra italiana in Montenegro fosse sempre stata ignorata dai governi italiani e dagli storiografi ufficiali.

Poi, dopo tanti anni, avvenne qualcosa che non avrebbe mai immaginato. Il compianto prof. Francesco Sanvitale, aquilano di nascita come papà, e fondatore della sezione di Ortona dell’ANVRG, pubblicò sul numero dell’8 settembre 2008 del giornale regionale abruzzese Il Centro un articolo intitolato “Gli Abruzzesi della Garibaldi” dove concludeva lanciando un appello a manifestarsi di coloro che avessero notizie dei combattenti abruzzesi. Papà naturalmente contattò subito il Professore, con cui strinse poi una grandissima amicizia, per mandargli foto e documentazione in suo possesso. Il 2 dicembre del 2008, sempre su Il Centro, Sanvitale pubblicò un secondo articolo dove raccontava la storia di papà.

A questo seguirono gli incontri di Ortona del giugno 2009 e 2010, organizzati da Sanvitale e ai quali papà, che aveva dovuto abbandonare L’Aquila dopo il terremoto dell’aprile 2009, partecipò e in cui ebbe l’occasione di conoscere Annita Garibaldi e Carlo Bortoletto, allora presidente dell’ANVRG. Papà aveva un anno di meno di Bortoletto, di cui vennero festeggiati i 90 anni all’occasione dell’incontro del 2010, e malgrado la fatica e i malanni dell’età ebbe la gioia di parlare con qualcuno che aveva vissuto la sua stessa esperienza e con altri membri dell’associazione che avevano studiato e ben conoscevamo quel particolare periodo della guerra italiana in Jugoslavia. Io ebbi il piacere di accompagnare papà a entrambi gli incontri, di cui sia lui che io abbiamo sempre conservato un bellissimo ricordo.

Nel giugno 2013, nel 70° anniversario della costituzione della Divisione Garibaldi e su proposta del professore Sanvitale, l’ANVRG decise di conferire a papà la Stella al Merito Garibaldino. Papà che non se la sentiva più di spostarsi da Roma, mandò mio fratello Fabrizio e me a ritirare la medaglia nel corso di una bella cerimonia conviviale presieduta da Annita Garibaldi in casa di Francesco Sanvitale. Papà fu sempre molto orgoglioso di questa onorificenza.

Come se non bastasse tutto ciò, nel 2013 andarono in onda su RAISTORIA tre servizi dello storico Eric Gobetti sulle vicende della Divisione Garibaldi. Su suggerimento di Sanvitale e di Sergio Goretti, direttore di Camicia Rossa, contattammo Gobetti il quale venne successivamente a Roma per incontrare e intervistare papà. Queste e altre interviste con i pochi reduci garibaldini rimasti, vennero poi incluse da Gobetti nel documentario “Partizani – La Resistenza italiana in Montenegro”.

Debbo dire che guardando indietro, gli ultimi 10 anni della vita di papà si sono riallacciati idealmente al periodo della sua giovinezza e alla guerra. Ha avuto la soddisfazione personale di un riconoscimento di quanto fatto per la Patria e di aver potuto far conoscere a qualcuno, al di là della stretta cerchia familiare, le esperienze vissute in Montenegro. Vorrei concludere segnalando che papà aveva voluto che nel suo necrologio fosse riportato quanto segue:

“Ufficiale della Divisione Italiana Partigiana Garibaldi -Croce di Guerra – Stella al Merito Garibaldino”. E così è stato fatto.

Sempre sorridente, cortese con tutti, gran signore, amante delle belle cose e della buona cucina. Così lo ricorderemo. Francesco Sanvitale e i suoi antichi compagni di gioventù saranno stati contenti di riabbracciarlo.

Agostino De Agostini