Elena Maiullari

­­­IL NOSTRO INNO NON È UNA MARCIA

Secondo “speciale” dedicato all’Inno di Mameli/Novaro con due nuove pagine pianistiche

a cura di Giacomo di Tollo

Basta consultare il sito della SIAE per rendersi conto che la maggior parte delle trascrizioni musicali aventi ad oggetto il nostro Inno Nazionale è associata alla figura dell’autore dei versi: Mameli. Strano a riscontrarsi, visto che si tratta per la maggior parte di brani strumentali senza testo, e che quindi poco hanno a che vedere con il nostro Goffredo nazionale. Ma il binomio Inno-Mameli è ormai entrato nel sentire comune, ed anche tra i professionisti della musica incontriamo qualche musicologo che sembra “tacere” di fronte all’argomento del compositore del nostro Inno: non che il fatto ci sorprenda, visto che Novaro, tenore e insegnante di musica, morì povero e senza troppi onori, avendo sempre visto nella musica uno strumento per promuovere altri ideali (come la patria) a prescindere dai propri interessi personali.

Cipriano Facchinetti
Cipriano Facchinetti

E purtroppo queste mancanze sono direttamente legate ad altre mancanze che si sono sommate nel corso della storia repubblicana: mancanze legislative, ma anche mancanze di unità, che hanno ostacolato in diversi modi il cammino del nostro inno.

Partiamo dalle seconde: gli inni nazionali rappresentano vere e proprie “Costituzioni in Musica”, ed utilizzano una simbologia rituale di musica e parole per dirigere l’attenzione dell’ascoltatore verso il significato che vogliono propagare, al pari dei tanti rituali di stato (ad esempio, il rituale penale, oppure il messaggio a camere unite del Presidente della Repubblica) o delle liturgie religiose: un inno nazionale deve rappresentare il patto sociale sottoscritto da tutti i cittadini, in modo da giustificare, nella mente di tutti, l’appartenenza ad un unico popolo. Il nostro inno, in questa direzione, dovrebbe essere visto come un grande prodotto di eccellenza, visto che fu scritto per un popolo che non era ancora organizzato in nazione, e fu scelto, appunto, perché raccoglieva, in un connubio di testo e musica, molti dei simboli di quella che sarebbe stata l’unità nazionale. Fino a qualche decennio fa, tutti questi simboli erano parte integrante dei programmi educativi, ma lo sono sempre meno, e sappiamo purtroppo che la non padronanza di alcuni simboli nazionali può generale distacco: distacco che va ad alimentare malintesi semantici, poi utilizzabili da alcuni attori politici per tirare l’acqua al proprio mulino. E tutto ciò può generare confusione, mettendo sotto i riflettori gli atteggiamenti più diversi: nella storia repubblicana siamo passati da un presidente del consiglio che ostentava le scaramantiche corna mentre l’Inno recitava “siam pronti alla morte”, ad un Presidente della Repubblica emerito che entrava in forte polemica con un pilota tedesco di formula uno, reo di fare il buffone durante l’esecuzione dell’inno di Mameli/Novaro.

E qui ci colleghiamo alle prime: durante il consiglio dei ministri del 12/10/1946, il ministro della guerra (oggi difesa) Cipriano Facchinetti dispose che durante il giuramento delle forze armate, che si sarebbe svolto il 4 novembre, doveva essere utilizzato l’Inno di Mameli. E così fu: entrò nella prassi esecutiva una versione dell’Inno destinato al passo di marcia, con tanto di tamburi e grancasse che erano quanto più lontano possibile dalla versione originale di Novaro, che rappresentava un popolo a raccolta intorno ad una figura profetica (e presto diremo quale…).

Fu quindi inevitabile, in un periodo in cui le bande musicali (in occasioni ufficiali, e durante le partite di calcio) erano l’unico modo per ascoltare il nostro inno, associare il nostro inno ad una marcia, che tutti i cittadini maschi avrebbero ascoltato durante il loro giuramento mentre marciavano al passo all’ombra del tricolore. Atteggiamento lecito, a cui però sarebbe dovuta seguire una norma di legge con l’obiettivo di fissare nero su bianco tutti i caratteri salienti dell’inno nazionale, per salvaguardarne il carattere, il cerimoniale, e le diverse destinazioni…non si tratta di un dettaglio, visto che gli inni nazionali, come tutti i simboli delle nazioni, sono regolamentati e protetti a pena sanzioni in tutti i paesi che li adottano: ne sa qualcosa il grandissimo compositore russo Igor Stravinsky, che arrangiò in maniera non consona l’inno americano, e che per questo fu accusato di diffamazione, con relativa multa salata.

Tutto ciò non è accaduto in Italia: dal 1946 il problema dell’inno nazionale non ha interessato il legislatore fino al 2017, anno in cui l’Inno diventa ufficiale grazie ad una legge che recita: “La Repubblica riconosce il testo del «Canto degli italiani» di Goffredo Mameli e lo spartito musicale originale di Michele Novaro quale proprio inno nazionale”. Tralasciamo il fatto che manchino ancora i decreti attuativi, ma la legge alimenta ancora di più la confusione, non fornendo il titolo esatto della composizione (“Il Canto degli italiani”, e non “Canto degli Italiani”) e dissociando testo e spartito musicale, come se fossero due entità distinte, esattamente come sono state trattate dal 1847 (anno di composizione) al 2017 (anno di adozione).

A questa dissociazione di parole e musica ha sicuramente contribuito il fatto che altri compositori abbiano musicato “Il Canto degli Italiani”: sia compositori contemporanei di Novaro  (Nicolò Magioncalda, Giuseppe Novella, Alessandro Botti) che più recenti. Tra questi ultimi vogliamo ricordare Mario Pasquale Costa, che “rimusicò” (per utilizzare il termine utilizzato dall’enciclopedia Treccani) l’inno di Mameli nel 1915. Si tratta di una testimonianza molto importante, soprattutto considerando il compositore (una delle grandi firme della canzone napoletana, autore di “A Frangesa” e di tanti altri immortali capolavori) e il momento storico in cui il brano fu composto, che vedeva l’ingresso dell’Italia in guerra: il compositore cercò di adattare il linguaggio musicale, utilizzando la seconda strofa del testo di Mameli (“Noi fummo da secoli calpesti, derisi”), come ritornello, per voler rendere evidente la volontà delle terre irridente; inoltre Costa aggiunge alla fine del brano una chiarissima citazione della marcia reale, seguita dalla frase “Viva Il Re”: ricordiamoci un momento che “Il Canto degli Italiani” è un brano repubblicano, e per questo fortemente osteggiato dai primi governi della Repubblica, per cui ascoltare un elogio al re alla fine del brano non rispecchia assolutamente il pensiero di Mameli, ma quello dell’epoca in cui Costa lo “rimusicò”, in modo da renderlo più attuale allora, ma assolutamente dimenticato oggigiorno.

A ben vedere, anche Novaro aveva aggiunto, alla fine del ritornello, l’esclamazione “Si!”, estranea al testo di Mameli, come una sorta di grido collettivo per auto-esortarsi all’azione, proprio come fanno i giocatori di calcio alla fine dell’esecuzione dell’Inno, e forse anche per questo, anche quando è suonato male, in nostro inno è, in fin dei conti, simpatico a molti.

Ultimo elemento di disturbo: l’idea che l’Inno sia difficile da cantare, derivante dal fatto che, effettivamente, in alcune parti della partitura le note da cantare sono davvero acute. Si potrebbe obiettare che il diapason dell’epoca era più basso di quello attuale, oppure si potrebbe ricordare che Novaro utilizza il coro nella seconda parte del brano: un coro a tre voci in cui ognuno può scegliere imparare la propria parte, secondo le proprie inclinazioni e possibilità.

Non sono mancate le istanze dei professionisti del settore per raddrizzare questo caos esecutivo e normativo, volte a ricollocare Novaro nel posto che meriterebbe: un’analisi della produzione di Novaro rivela un linguaggio molto vicino a quello di Donizetti, con chiari rimandi al crescendo rossiniano, e con brani pianistici di assoluto interesse, come “Caprera-Polka” e “Valzer Satanico”. Morricone e Abbado hanno sempre sostenuto che l’Inno di Mameli/Novaro debba essere eseguito in maniera più lirica e più lenta, e Maurizio Benedetti ha scritto un bellissimo libro sulle diverse fonti ed i diversi modi di eseguire l’Inno, anche alla luce delle diverse critiche che riceve in occasione di ogni partita di calcio; Celibidache ha lasciato agli annali una commovente versione dell’Inno, il pianista Roberto Prosseda e l’associazione Mendelssohn ha dato vita al concorso “Michele Novaro”… fino ad arrivare alla nostra iniziativa, volta ad utilizzare l’Inno di Mameli/Novaro come fonte di ispirazione per composizioni originali. E pubblichiamo nelle pagine seguenti un brano di una compositrice che ha aderito all’iniziativa: la versione pianistica dell’Inno composta da Elena Maiullari, eseguita ad Ortona a Mare dalla pianista lussemburghese Sabine Weyer, e pubblicata per la prima volta sulle pagine di Camicia Rossa.