Simona GAMBARARA, Federico e gli altri. I chiaravallesi caduti nella Grande Guerra, Arti grafiche editoriali, Urbino, 2016, pp. 257, s.p. Alessio Pizziconi

Tra i testi accreditati nel progetto rientrante nel programma ufficiale delle commemorazioni del centenario della prima Guerra Mondiale, vi è questo interessante testo di Simona Gambarara, che bene illustra le vicende e il sacrificio dei soldati cittadini della piccola comunità di Chiaravalle che persero la vita nel conflitto. Da fonti ufficiali quali l’Archivio di Stato di Ancona e quello del Ministero della Difesa, risulta che i caduti di Chiaravalle furono 139. Il titolo è emblematico: Federico Cappelletti, fratello del nonno dell’autrice, vuole rappresentare efficacemente il soldato italiano morto nel primo conflitto mondiale: un fante di giovane età, caduto in zona di guerra, sepolto in zona non conosciuta, senza alcuna medaglia. E’ a lui e agli altri settecentomila italiani che morirono sul fronte orientale per difendere la patria, che la Storia, più di qualsiasi medaglia, deve assegnare il titolo di eroe a perenne memoria dei posteri.

Il volume contiene l’elenco alfabetico dei caduti chiaravallesi, con foglio matricolare e stato di servizio, completo di tutte le informazioni che l’autrice con encomiabile e intenso lavoro di ricerca è riuscita a reperire. Ne esce un interessante studio, che offre uno spaccato della realtà sociale che quasi tutti i paesi d’Italia vissero durante quel tragico periodo. La guerra, fortemente sottovalutata alla vigilia dai vertici militari, rivelò ben presto il suo volto: un infernale massacro per un’intera generazione di giovani uomini, una strage considerata da una vasta parte della storiografia come inutile (paragonando quello che ottenne, da vincitrice, ai tavoli di trattativa rispetto alle aspettative pattuite segretamente a Londra nel 1915). La prima guerra mondiale, a cui l’Italia ha pagato il maggior numero di vittime tra i conflitti che l’hanno vista protagonista, rappresentò un modello totalmente nuovo del concetto di guerra. I quasi settecentomila morti italiani, verso i quali lo Stato ha il dovere di rendere sempre alta la memoria eroica, sono in parte da ascriversi alla potenza di fuoco tedesca e austro-ungarica, ma in gran parte, a gravi errori tattici e di valutazione da parte dei vertici del Regio Esercito che, legati a modelli di guerra ottocenteschi, e fermi nelle convinzioni che il terreno si sarebbe dovuto guadagnare a qualunque costo di vite umane, mandarono a infrangere la fanteria come nelle quindici offensive dell’Isonzo, o sottovalutarono spesso l’avversario, come avvenne nel disastro di Caporetto. Ma se i comandanti, gli strateghi e i governanti non sono stati all’altezza di quel momento estremo e cruciale, lo sono stati i soldati che hanno trascinato, lasciando letteralmente sconcertati gli alleati dell’Intesa –nessuno di loro credeva che la linea del Piave avrebbe retto- l’Italia fino alla battaglia decisiva di Vittorio Veneto, costringendo il nemico alla resa finale. A ciascuno di loro, a chi morì tra le nevi del fronte, a chi resistette sul Piave, a chi compì gesta eroiche contro la marina austriaca, a tutte le armate e le divisioni italiane schierate sul fronte orientale dal 1915 al 1918 con mezzi e armamenti inferiori al nemico, deve correre il pensiero ogni 4 novembre. Perché se in quel giorno si celebra l’Unità Nazionale e le Forze Armate, i giovani devono sapere che quella data è prima di tutto l’anniversario della vittoria italiana nella Grande Guerra, conquistata con l’immenso sacrificio di tutta la nazione.