Battaglia di Calatafimi

A LIVORNO IN RICORDO DI CESARE GATTAI

 primo livornese dei “Mille” caduto a Calatafimi

A Cesare Gattai, garibaldino livornese della Spedizione dei Mille, caduto nella battaglia di Calatafimi in Sicilia il 15 maggio 1860, nel 2011, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, è stato intitolato l’ex parco Centro Città nei pressi di piazza Cavour a Livorno.

Il 15 maggio scorso, nel parco a lui dedicato, nel decennale dell’avvenimento e nel 161° della battaglia, è stato ricordato questo nostro valoroso concittadino. La cerimonia si è svolta con l’attiva partecipazione del noto coro “Garibaldi d’assalto” di Livorno diretto dai Maestri Pardo Fornaciari e Maria Torrigiani, che per l’occasione, hanno organizzato un concerto di canti risorgimentali intitolato “E la bandiera dei tre colori è sempre la più bella” proprio in onore di Cesare Gattai, che a Calatafimi era l’alfiere dei toscani con il tricolore che aveva sventolato a Curtatone e Montanara nella battaglia del 29 maggio 1848.

Il coro, con il solito grande successo, ha eseguito brani e canti famosi risorgimentali, non solo livornesi, come “L’inno di Garibaldi”, “La morte di Anita”, “Camicia rossa garibaldina”, “L’addio del volontario” e tanti altri.

Cesare Gattai, figlio di Alessandro e di Cristina, nato a Livorno il 7 marzo 1831 in uno stabile di Borgo Cappuccini, da una famiglia popolare di origine genovese, di professione navicellaio, accanto al padre, prese parte diciottenne alla difesa di Livorno del 10-11 maggio 1849 e nella seconda guerra d’Indipendenza del 1859 andò volontario nel Corpo dei Cacciatori delle Alpi agli ordini del generale Garibaldi.

L’anno successivo fu nella nutrita schiera di garibaldini livornesi  che fecero parte della Spedizione nel Regno delle Due Sicilie (Livorno è annoverata fra le città più garibaldine d’Italia). Gattai, con altri 36 compagni, guidati da Jacopo Sgarallino, il 1° maggio con il piroscafo Etruria andò a Genova ed il 5 maggio salpò da Quarto. L’altro contingente livornese, 77 uomini condotti da Andrea Sgarallino, con la tartana Adelina raggiunsero i volontari partiti da Quarto, nel porto di Talamone, ma fu aggregato ad una spedizione  che ebbe il compito di invadere lo Stato Pontificio (la nota “Diversione”).

Allo sbarco a Marsala, a Cesare Gattai venne affidata la bandiera tricolore di Andrea Sgarallino che era stata sui campi lombardi nella 1a Guerra d’Indipendenza. Durante la battaglia, la prima che fu combattuta in Sicilia, sulle pendici del colle del Pianto Romano e la collina di Pietralunga, fra Vita e Calatafimi,  Cesare Gattai era il portabandiera della 2a Compagnia, dopo Salemi al comando del palermitano Antonio Forni, in cui militavano i volontari livornesi. 

Sono stati ricordati i tratti salienti della battaglia, per le particolari condizioni del luogo dello scontro, una pendice molto sassosa, terrazzata, che i garibaldini dovettero affrontare salendo dal basso.

Dopo una lunga attesa, una colonna dei napoletani, quella dei Cacciatori condotta dal maggiore Michele Sforza, fra le migliori e più addestrate dell’esercito, fu la prima a sferrare gli attacchi, dimostrando sul campo di saper battersi con determinazione, abilità e veemenza. Pur facendo uso di una grande quantità di munizioni i garibaldini riuscirono alla fine, e con gravi perdite, a fermarli.

I combattimenti proseguirono con una serie quasi continua di attacchi e contrattacchi isolati da entrambe le parti ed estenuanti corpo a corpo, senza una strategia definita. Ad ogni balza riprendeva la lotta a colpi di schioppi e di pietre. 

I fucili dei napoletani coprivano una distanza di mille passi e quelli dei garibaldini trecento, allora il solo modo di combattere che poteva essere vincente: “il fucile è solo l’impugnatura della baionetta”.

L’esito del cruento combattimento fu molto incerto per molte ore; basti ricordare che ad un certo punto l’impavido Bixio, visti gli uomini esausti, suggerì a Garibaldi di ordinare la ritirata, ricevendo per tutta risposta lo storico “Qui si fa l’Italia o si muore” che campeggia sul luogo della battaglia.

Per fortuna alla fine, il coraggio e l’ardimento dei garibaldini, unito alla strategia ed alle incertezze del generale borbonico Francesco Landi, fecero volgere l’esito dello scontro a loro favore.

Molto eloquente su quanto accadde è quanto scritto in una lettera di Garibaldi del 17 maggio da Alcamo “i napolitani si batterono da leoni, e certamente non ho avuto in Italia combattimento così accanito ed avversari così prodi”. Nello scontro il compito dei portabandiera risultò estremamente arduo ed pericoloso. Cesare Gattai colpito al petto dalla mitraglia nemica fu il primo livornese dei “Mille” a cadere in battaglia; egli morendo, con eroico gesto volle avvolgersi con la gloriosa bandiera, ma i livornesi non ne seppero più niente. La stessa sorte toccò a Stefano Schiaffino di Camogli, dei Carabinieri genovesi, che portava la bandiera tricolore donata a Garibaldi dalla comunità italiana di Valparaiso in Cile. Fra i garibaldini ci furono 32 morti ed un centinaio di feriti, fra i picciotti siciliani una decina di morti e circa quaranta feriti.

Il sacrificio del giovane Cesare Gattai ricordato nella lapide in marmo al cimitero comunale dei Lupi dettata da F.D. Guerrazzi, e l’esito vittorioso della battaglia ebbero vasta risonanza in città e nella penisola. Una copia della lapide si trova anche nel parco a lui intitolato. Anche sulla casa natia, per ricordare il reduce dai campi lombardi ed il valoroso alfiere fu murata una targa nel 1906, a cura della Democrazia livornese, dettata dal repubblicano V. E. Marzocchini.

Soltanto dopo la battaglia di Palermo, a fine maggio, quando si celebrarono i funerali dei garibaldini caduti sul campo, alcuni livornesi riconobbero che il drappo che decorava il catafalco era appunto la bandiera di Sgarallino. La gloriosa bandiera infatti era stata ritrovata nel luogo della battaglia dai picciotti siciliani e portata a Palermo. Riconsegnata a Sgarallino, sarà riportata a Livorno e poi ancora sull’Aspromonte nel 1862 e nella III guerra d’Indipendenza nel 1866.

L’esito vittorioso della battaglia di Calatafimi fu determinante per la prosecuzione dell’impresa dei Mille. I borbonici si ritirarono verso Palermo consentendo ai garibaldini di continuare la loro marcia verso la capitale dell’isola e la liberazione del Meridione.

Libero Michelucci