IL CAPITANO GARIBALDINO GIUSEPPE SCARPERIA Angelo Grimaldi

Nel 1849, dopo la restaurazione borbonica, la Sicilia era percorsa da frequenti sussulti antiborbonici. Nel mese di maggio 1854, su decisione del comitato rivoluzionario presieduto dall’Avv. Pasquale Calvi[1], Giuseppe Scarperia, Giovanni Interdonato,  il fratello Stefano, Nicola Fabrizi, Francesco Savona (quest’ultimo pare fosse, insieme a Giovanni Interdonato, in contatto con altri fuoriusciti italiani, rifugiatisi a Costantinopoli, in particolare con un certo Giorgio Arnò), il marchesino Pietro Mauro e pochi altri ardimentosi, lasciarono Malta per tentare una spedizione sulla costa orientale della Sicilia.

Giuseppe Scarperia era nato a Castelvetrano (Trapani) il 9 gennaio 1829[2], concittadino di frà Giovanni Pantaleo. Tuttavia, il ritratto fisico di Giuseppe Scarperia emerge solo da un bando inviato ai sindaci di Sicilia, il 2 giugno 1854, dall’Intendenza della provincia di Messina, dove il castelvetranese viene nominato “Scarparia”: “da Castelvetrano, d’anni 26 circa, statura alta, capelli neri, occhi neri, senza barba, naso aquilino e poco rosso, carnagione pallida”.

Giuseppe Scarperia organizzò uno sbarco in Sicilia per fomentare una rivoluzione contro i Borbone. Nella notte del 22 maggio 1854, Scarperia, Savona e Interdonato si impadronirono di una barca maltese e fecero rotta verso Messina dove ad attenderli c’erano altri congiurati siciliani. A causa del mare grosso, Scarperia e gli altri rinunciarono a quell’approdo e pur di prendere terra raggiunsero la spiaggia di S. Ferdinando, nell’attuale Comune di Nizza di Sicilia, vicino Roccalumera, il 24 maggio 1854 (in quella località si trovava la casa paterna di Interdonato)[3].

La polizia borbonica si mise sulle loro tracce e andò loro incontro sulla strada di Messina. Seguì uno scontro a fuoco, nel corso del quale un gendarme fu ferito, mentre i cospiratori riuscirono a disperdersi. Dopo pochi giorni, i due si consegnarono volontariamente alla polizia, per evitare che continuassero le rappresaglie contro le loro famiglie (pare che fu il padre di Giovanni Interdonato a convincere Giuseppe Scarperia e il figlio a consegnarsi alle autorità il 7 giugno 1854). La stampa governativa diede notizia dell’episodio in un trafiletto del “Giornale Officiale di Sicilia”, dove il fatto era definito come il risultato di un falso sentimentalismo politico[4] (l’episodio fu ripreso dalla stampa periodica che ne enfatizzò la portata).

Dalla Gran Corte Criminale di Messina, vengono condannati a morte, pena ridotta poi a 30 mesi per Scarperia e Interdonato e 2 anni per Mauro. Lo Scarperia, scontata la pena a Palermo, viene poi relegato a Favignana, da dove, con l’aiuto di due patrioti del luogo, tentò di fuggire con un piccola barca. Ma anche stavolta il mare agitato, dopo nemmeno un miglio, sospinse l’imbarcazione ad infrangersi su uno scoglio. Raggiunti dalla polizia, i tre fuggiaschi furono arrestati e condannati a qualche mese di carcere; Scarperia fu inviato nelle carceri di Trapani, poi ad Ustica ed infine agli arresti domiciliari a Trapani.

Nel dicembre del 1858, Giuseppe Scarperia, insieme a Mario Palizzolo e Giovanni Ernani, fu arrestato con l’accusa di aver continuato a cospirare contro il governo borbonico.

Il 4 aprile 1860, dopo il fallito tentativo insurrezionale della Gancia, a Trapani venne dichiarato lo stato d’assedio e Giuseppe Scarperia viene diffidato dalla Polizia borbonica.

Si arruolò come volontario non appena i “Mille” sbarcarono a Marsala. Ebbe un ruolo importante nell’organizzazione delle squadre dei volontari castelvetranesi e, in particolare, la squadra da lui comandata si comportò valorosamente a Palermo nei combattimenti di Porta S. Antonino e della Cattedrale, tanto da meritarsi il compiacimento di Giuseppe Garibaldi, il quale, il 31 ottobre 1860, alla vigilia della resa di Capua, nominò Giuseppe Scarperia capitano sul campo affidandogli il comando del Battaglione dei “Cacciatori delle Alpi”.[5]

Venne successivamente insignito della medaglia d’oro per aver combattuto per la liberazione della Sicilia. Dopo l’Unità entrò a far parte dell’Esercito con il grado di Capitano.[6] Il Generale Giuseppe Garibaldi anche da deputato cercò in tutti i modi di trovare una sistemazione giuridica ed un giusto riconoscimento ai suoi volontari, nonostante non pochi altri deputati cercarono di avversarlo.[7]

[1] Pasquale Calvi fu uno dei protagonisti della rivoluzione siciliana del 12 gennaio 1848, fu incaricato di presiedere la Commissione per la Costituzione del nuovo Regno di Sicilia, entrò nel governo dapprima come ministro degli Affari Esteri e poi della Giustizia. Massone, si mise a capo di una corrente repubblicana ed in quanto tale propose la Repubblica come forma di governo, ma il parlamento siciliano scelse la monarchia costituzionale. Dopo la restaurazione borbonica fu esiliato nel 1849 a Malta.

[2] Archivio di Stato di Torino, Alla ricerca dei garibaldini scomparsi, in www.archiviodistatotorino.beniculturali.it

[3] A.S.T., Aff. Gen., 1854, nota riservatissima ed urgente del Dir. di Polizia in Palermo all’Intendenza di Trapani, 3 giugno 1854

[4] Ugo De Maria, Le vicende dei Siciliani sbarcati a Roccalumera, in La Sicilia nel Risorgimento, Palermo, anno I (1931), fasc. III (luglio/dicembre), pp. 96-101; E. Casanova, Lo sbarco di Roccalumera, in Archivio Storico Siciliano, serie II, anno 1927, pp. 260-300; La Vita Nuova, Castelvetrano, 1 gennaio 1913

[5] Giovanni Asaro, Giuseppe Scarperia, patriota e garibaldino, Palermo, Scuola Linotyp. B.D.P., 1964

[6] Decreto di nomina del 12 ottobre 1861, in Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, Torino, martedì 22 ottobre 1861, n. 257

[7] Camera dei Deputati, Sessione del 1861, tornata del 18 aprile 1861, disegno di legge presentato dal deputato generale Giuseppe Garibaldi per l’armamento nazionale, in Camera dei Deputati, Portale storico, storia.camera.it