RICORDARE ANITA Annita Garibaldi Jallet

La decisione del direttore della nostra rivista di dedicare  molta attenzione ad una delle rare figure femminili del nostro Risorgimento, una combattente veramente speciale, Anita Garibaldi, cavalca l’interesse nascente di studiosi e animatori culturali per la giovane brasiliana della quale nel 2021 ricorrerà il duecentesimo anniversario della nascita. E’uscito da poco un libro importante a lei dedicato, ad opera della prof. Silvia Cavicchioli, oggetto in questo stesso numero di una recensione della prof.  Anna Maria Lazzarino Del Grosso. La stessa autrice del libro, e altre autorevoli studiose del Risorgimento come la prof.  Eva Cecchinato,  hanno già esposto le loro interpretazioni della figura della sposa dell’Eroe dei due mondi nei salotti più importanti della RAI.  Su un altro registro,  il Museo Renzi ha dedicato studi e ricerche alla creazione di un romantico omaggio, una rosa, che porta il nome di Anita. All’iniziativa ha aderito con entusiasmo l’Istituto Culturale Anita Garibaldi di Laguna, che ha fatto visita alla nostra Associazione a Roma ed è stata accolta fraternamente dalla Romagna garibaldina.  L’Istituto è presieduto da Adilcio Cadorin, già sindaco di Laguna nel 1982. Egli dedicò, nel centenario della morte di Giuseppe Garibaldi  nel 1982,  un omaggio altrettanto sentito alla sua consorte, così come fu fatto in tutto lo stato del Santa Caterina e del Rio Grande do Sul, quelle terre attraversate dalla Rivoluzione Farroupilha dove  Garibaldi e Anita si sono conosciuti ed hanno combattuto per la prima volta fianco a fianco.  Grandi convegni si sono svolti in quegli anni a Rio de Janeiro, a San Paolo, a Porto Alegre, e poi in Uruguay, a Montevideo, a Salto.  E’ stato il sindaco Cadorin ad attribuire, dopo approfondite ricerche, una data di nascita ad Anita, venuta alla luce  a Morrinhos ora Laguna. E’ attendibile la data  del 21 giugno 1821. A Porto Alegre il primo monumento a Giuseppe e Anita assieme è del 1913. L’immigrazione europea, tedesca, italiana soprattutto, ha fatto del Sud del Brasile una terra aperta ai contatti internazionali, in un momento in cui il grande paese di lingua portoghese cercava la sua identità nazionale. Le idee di Livio Zambeccari, l’eredità della Rivoluzione francese testimoniata dal berretto frigio sulla bandiera del Rio Grande do Sul che porta la data del 20 settembre 1836,  hanno pervaso la giovane nazione come il nostro Risorgimento. Questo era il contesto nel quale maturarono idee, valori e sentimenti di  Giuseppe e Anita.  Molto più tardi fu l’incontro temporale tra il dittatore brasiliano originario del Rio Grande do Sul, Getulio Vargas, e l’omologo italiano Benito Mussolini a fare si che, ognuno per le sue ragioni, si esaltasse la figura di una donna, celebre nei due mondi a sua volta. Non erano mancati gli autori italiani per ricordare la consorte del Generale, sua pari nel coraggio e nel sacrificio. Il testo più importante rimane quello di Giuseppe Bandi , edito nel 1889. Bandi è il primo a dedicare un libro ad Anita in prima persona,  non nel contesto di una biografia del Generale. Il libro conosce riedizioni nel 1908 e successivamente, fino al 2014.  Ma fu soprattutto in Romagna che rimase vivo, dopo la sua morte , il culto di Anita, lì sepolta frettolosamente nel 1849 nella terra della fattoria Guiccioli per approdare al cimitero di Nizza nel 1859, e infine nel suo monumento a Roma. Da quella fedele e generosa terra  è nato il mito che avvolge la giovane donna. Ha incontrato altro terreno fertile in Brasile, ha seguito il fiume dell’emigrazione italiana nel mondo, superando assieme allo sposo, per i valori che incarnano e per quello che di misterioso hanno i simboli e i miti,  la sola rappresentazione dell’identità italiana per elevarsi a mito universale.

Esiste un solo ritratto dal vivo di Anita, quello realizzato dal pittore Gallino a Montevideo, ma sono stati  tanti i pittori e scultori tentati di ritrarla, da Giuseppe Ferrari a Giuseppe Guastalla, a Mario Rutelli, autore del monumento già approntato nel 1906 come si sa e realizzato, con una pistola in meno ed il bimbo in più, diremo ingentilito,  Il pronipote dello scultore, Francesco,  ha voluto testimoniare per noi in occasione di un convegno romano nel 1999, che il volto dell’Anita al Gianicolo è quello della sua bisnonna Graziella. Un cavallo rampante comunque, ad onorare i morti in combattimento, per la donna che ha combattuto da soldato in Brasile, nella Repubblica Romana, che ha vissuto il calvario della ritirata da Roma verso Venezia, non una fuga ma la speranza di altra resistenza,  senza volere raggiungere i figli a Nizza e lasciare il suo Generale che forse non avrebbe rivisto mai più.

Noi non imbastiremo romanzi attorno alla figura di questa donna simbolo del nostro Risorgimento, attorno ad una donna che ha saputo interpretare il suo ruolo con una modernità straordinaria, ponendosi a fianco dello sposo per combattere la sua stessa battaglia. Del resto è come soldato che nelle sue Memorie Garibaldi la ricorda.  Evocheremo la sua storia, il superamento della condizione,  bella ma riduttiva per lei,  di donna unita all’uomo del quale ha sposato la vita per sempre, e madre che dedica l’ultimo pensiero ai figli lontani affidandoli a lui. Ricorderemo che nella lotta per la libertà fu simbolo della Resistenza, di tutte le resistenze, tanto quanto lui. La sua figura non si è mai fatta strumentalizzare, muta davanti all’omaggio del 1932, ben più longeva sul colle degli eroi di chi l’ha voluta. Come nella bella epigrafe di un monumento di Romagna, ricorderemo che “ fu per Garibaldi , Anita, la vivente immagine della libertà” E non solo per lui.

Per i 500 anni della sua nascita, nel 2000,  il -per noi-   giovane Brasile l’ha ricordata ed ancora la ricorderà nei suoi 200 anni, assieme all’Uruguay  dove seppur fosse moglie di un ufficiale combattente per la difesa di Montevideo, conobbe la dolcezza di una modesta casa dove dare vita ai suoi figli, dopo la terribile avventura della nascita di Menotti,  nella fuga  a cavallo davanti alle truppe dell’Imperatore portoghese, ai piedi di un grande albero nei pressi della piccola  Mostardas. La ricorderemo non come rituale omaggio ma pensando alle donne coinvolte come lei nell’orrore delle guerre, separate dai loro figli, con il marito combattente lontano. Anche se non ha superato l’ostacolo della scrittura, accoglieremo il suo messaggio: assumere pienamente la scelta fatta, i valori sposati, l’amore donato, per valori che ancora oggi assieme a lei dobbiamo onorare e forse riscoprire.