UN TRISTE CASO AL TEMPO DELLA SPEDIZIONE DEI MILLE Donato D’Urso

Francesco Cattaneo era nato a Novi (l’odierna Novi Ligure in Piemonte) il 17 ottobre 1835. Esentato dagli obblighi di leva perché un fratello serviva nell’esercito, lavorava nel campo del commercio. Nella primavera del 1860 si trovava a Genova, quando apprese dell’imminente spedizione garibaldina. Lasciata ogni cosa si presentò volontario, sebbene non avesse esperienza militare, e fu imbarcato a Quarto sul vapore Lombardo. Durante la sosta a Talamone in Toscana, Cattaneo fu assegnato alla 1ª compagnia agli ordini di Nino Bixio.

Bixio era valoroso ma anche irascibile e duro. Famose le parole pronunziate sulla nave in navigazione verso la Sicilia: «Qui io sono tutto, lo Czar, il Sultano, il Papa, sono Nino Bixio! Dovete obbedirmi tutti; guai chi osasse un’alzata di spalla, guai chi pensasse di ammutinarsi! Vi ucciderei tutti». A Palermo prese a schiaffi Carmelo Agnetta, che aveva portato essenziali rifornimenti con l’Utile, solo perché non l’aveva riconosciuto al funerale dell’ungherese Tüköry (Camicia Rossa, febbraio/aprile 2004, pp. 25-26).

Cattaneo passò alla 9ª compagnia comandata dal pavese Giacomo Griziotti. Nello scontro di Calatafimi riportò tre ferite, al collo, all’orecchio sinistro e all’avambraccio destro. Riparato dietro un muro ricevette le prime cure da Rose Montmasson, allora compagna di Francesco Crispi, unica donna presente sul campo di battaglia.

Le ferite per fortuna non erano gravi e in qualche settimana Cattaneo guarì, tanto che poté rientrare a casa per una breve licenza. A luglio era di nuovo in Sicilia. Dai Carabinieri Genovesi fu trasferito, col grado di sottotenente, alla 17ª divisione, brigata Basilicata. Al termine della campagna meridionale fu congedato da luogotenente e gli fu conferita la medaglia dei Mille con relativo diploma: «A Voi, Cattaneo Francesco, uno dei mille prodi sbarcati con Garibaldi a Marsala il dì 11 maggio 1860, il Senato di Palermo questo attestato rilascia, accompagnato dalla medaglia che decretava la nostra cittadina rappresentanza, e che oggi il Municipio vi conferisce. Palermo il dì 24 ottobre 1860».

Nel 1866 Cattaneo corse di nuovo alle armi con Garibaldi e partecipò alla III guerra d’indipendenza, comandando la 3ª compagnia del 9° reggimento volontari. Si distinse nella battaglia di Bezzecca. Nel gennaio 1867 fu nuovamente congedato.

Rientrato a casa, riprese il lavoro di negoziante, sempre presente in ogni cerimonia patriottica, unico novese dei Mille superstite, dopo la morte in giovane età di Paolo Giuseppe Punta. Cattaneo era presidente della locale sezione della Società Carabinieri Italiani e socio dell’Accademia filarmonica, artistica, letteraria.

Nel 1878, dopo il fallito attentato al re di Giovanni Passannante, che invece ferì seriamente il presidente del Consiglio Benedetto Cairoli, già mazziniano e garibaldino, Cattaneo fece parte della delegazione che si recò a Roma per consegnare a Cairoli un indirizzo di omaggio, accompagnato da una medaglia d’oro e da un album di firme di estimatori novesi: «A Voi, ferito a Palermo per la redenzione d’Italia, ferito a Napoli per la salvezza del Re, fra le schiere di Garibaldi sul banco dei ministri nella reggia, patriota sempre, della patria benemerentissimo, i cittadini di Novi Ligure in segno di ammirazione e di affetto».

L’anno dopo (1879), cogliendo l’occasione del transito alla stazione di Novi Ligure dello stesso Cairoli, Cattaneo gli consegnò la pergamena di nomina a presidente onorario della Accademia citata in precedenza. Nel giugno 1882 l’ex-garibaldino ferito tre volte a Calatafimi commemorò l’Eroe morto a Caprera, anche se non era un forbito oratore. Cattaneo è ricordato come «un uomo alla buona, senza ostentazione del dovere compiuto, senza acredine di fronte ad avversi denigratori, semplice, cordiale e schietto» (da uno scritto di Serafino Cavazza del 1960).

Colpito da grave malattia, Francesco Cattaneo morì non ancora cinquantenne il 15 novembre 1884.

Sin qui la biografia, semplice e compiuta di uno dei Mille. E tuttavia un triste caso macchiò quell’esaltante esperienza e sicuramente amareggiò la memoria di quell’onest’uomo.

Ha narrato i fatti Giuseppe Bandi, gli altri memorialisti garibaldini tacciono al riguardo. Bandi pubblicò I Mille nel 1886 (quando Cattaneo era già morto) sul Messaggero di Roma e sul Telegrafo di Livorno. Nel 1902 quelle pagine di ricordi furono raccolte in un volume postumo.

Dunque, nella fase finale dell’impresa dei Mille, quando si combatteva sotto Capua, fu segnalato che tale Raffaele Garofolo (Garofalo secondo altre fonti) svolgeva attività spionistica a favore dell’esercito borbonico: partendo dalla sua casa di Frignano si recava a Capua quasi ogni notte, rientrando prima dell’alba. Il comando garibaldino decise di procedere alla cattura. Le prime ricerche andarono a vuoto. Allora Bandi organizzò in altro modo l’operazione, più di polizia che militare. Traggo dal suo libro (edizione Parenti del 1955, pp. 378-379):

 

«Chiamai allora un tenente genovese, per nome Cattaneo, che era stato de’ Mille, e che tenevo in conto d’uomo scaltro e fidatissimo, e gli ordinai di recarsi con un drappello a Frignano e di far cautamente la posta alla spia e di guardar bene che non gli sfuggisse dalle mani. Il tenente, inteso quel che doveva fare, giurò che vivo o morto m’avrebbe recato il Garofolo; e scelti dodici compagni a piacer suo, partì sul far della sera, scostandosi dalla strada maestra e marciando pei campi, acciò la notizia del suo arrivo nol precorresse in paese. Il suo calcolo era questo: giungere improvviso a casa della spia, innanzi che fosse partita pel solito suo viaggio, e coglierla calda calda, Dio sa mai con quali lettere in tasca […]. Arrivò sotto la casa del Garofolo, che era staccata dalle altre, in cima al paesello, verso le tre di notte. Faceva un lume di luna così bello, che parea giorno, ma nessuno s’accorse in quella casa dell’arrivo dei molesti visitatori. Le finestre eran chiuse, né alcun lume trapelava per gli spiragli: segno certo che tutti dormivano o facevan viste di dormire. Il tenente, circondato che ebbe la casa, disse a uno dei villani che aveva seco per guide, che picchiassero alla porta. I villani picchiarono ripetute volte, e chiamarono a nome il Garofolo e poi la moglie, pregando che aprissero senza paura, ma fu lo stesso che dire ai sordi. Tutt’a un tratto, ecco aprirsi una finestra dalla parte opposta della casa, proprio in faccia al luogo dove il Cattaneo si era messo in agguato con due compagni, e si vide comparire alla finestra una figura bianca, che spicca un salto e cade per terra, e poi si rialza e se la dà a gambe pei campi. L’apparizione ed il fatto avvennero tanto repentinamente, che nessuno ebbe tempo di muoversi, ma il Cattaneo, afferrata una carabina, sparò dietro al fuggiasco, e questi cadde al suolo, gittando un altissimo strido. Oh Dio! La palla del tenente aveva colto nella schiena il figlio sedicenne del Garofolo […]. Vennero tosto ad avvertirmi in Aversa, e io cavalcai colà innanzi che fosse giorno, e vidi una donna ancor giovane e bella che piangeva disperata sul figlio morente […]. Il fatto andò proprio così come l’ho narrato; ma il generale Sirtori che scrupolosissimo era, ne fece un vero diavoleto, e non si stancava dal dire che tanto io, quanto il Cattaneo meritavamo un consiglio di guerra».

 

Francesco Cattaneo non ebbe a subire punizioni e il triste caso fu archiviato.